La Russia blocca i prodotti europei, ma all'Italia quanto costa? - Diritto di critica
Mosca risponde alle sanzioni sulla crisi ucraina sospendendo le importazioni agricole da Europa e America. In vista un altro brutto colpo per la nostra economia
706 milioni di euro. Questo è il valore annuale delle nostre esportazioni agricole verso la Russia. Di questi, quasi 200 potrebbero andare in fumo dopo l’embargo deciso da Putin sui prodotti agroalimentari europei (ed anche americani). Una reazione forte, quella russa, in risposta alle sanzioni inflitte da Ue e Usa a causa del conflitto in Ucraina. E pensare che, secondo la Coldiretti, l’export italiano verso Mosca nella prima parte del 2014 è addirittura aumentato dell’1 per cento, e non solo nel settore del lusso che da anni soddisfa i desideri dei nuovi ricchi di Russia. Ecco che ancora una volta la ragion d’Europa (intesa come Unione Europea) e il dovere morale si scontrano con le reali esigenze di un Paese, come è oggi l’Italia, in recessione e bisognoso di non perdere una fetta importante di mercato (siamo i quinti partner commerciali mondiali della Russia).
Pasta, carne e parmigiano I dati forniti in questi giorni dalla Coldiretti parlano chiaro: lo scorso anno sono finite in Russia frutta e verdura del Belpaese per un importo di 72 milioni di euro, pasta per 50 milioni e carne per 61 milioni. Tutte tipologie di prodotti inserite nella lista nera di Putin assieme a pesce, latte, formaggi. A rischiare grosso fiori all’occhiello italiani come il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano: «Nel 2013 l’export di Parmigiano in Russia ha toccato le 10.800 forme – ha dichiarato a “Repubblica – Bologna” Giuseppe Alai, Presidente del Consorzio del famoso formaggio – per un fatturato di 5,8 milioni e con una crescita del 16 per cento rispetto all’anno prima. Con l’embargo, la contrazione avrà una ricaduta in termini quasi completi, secondo noi». E dire che il Consorzio aveva previsto un piano per arrivare a vendere all’estero il 50 per cento della produzione, entro il 2020. Non va meglio per gli agrumi siciliani, le mozzarelle campane, le pere modenesi. O per aziende singole come la Cremonini, produttrice del marchio di carne in scatola Montana, che riforniva i McDonald’s russi con le sue derrate. Unica consolazione: sono esenti dal blocco delle importazioni deciso da Mosca tabacchi, cereali e, soprattutto, vini e spumanti, che da soli rappresentano il 16 per cento delle esportazioni agroalimentari italiane nell’ex Unione Sovietica.
Botta e risposta La Russia ha deciso di bloccare “fino ad un anno” l’import di materie prime ed alimenti nei confronti di tutti i Paesi che hanno aderito alle sanzioni seguite all’interferenza di Mosca nella guerra in Ucraina. Non solo Ue e Stati Uniti, ma anche Norvegia, Canada, Australia. E i vertici del Cremlino saranno liberi di accorciare o allungare il provvedimento. In questa lotta a colpi di embarghi e ritorsioni, saranno con l’acqua alla gola in particolare le nazioni che hanno nella Russia il partner commerciale di riferimento, come Lituania, Polonia e Finlandia, che chiederà il conto alla Ue in caso di perdite economiche importanti. Ma anche i cittadini russi potrebbero avere a che fare con scaffali vuoti e prezzi alle stelle.
706 milioni di euro. Questo è il valore annuale delle nostre esportazioni agricole verso la Russia. Di questi, quasi 200 potrebbero andare in fumo dopo l’embargo deciso da Putin sui prodotti agroalimentari europei (ed anche americani). Una reazione forte, quella russa, in risposta alle sanzioni inflitte da Ue e Usa a causa del conflitto in Ucraina. E pensare che, secondo la Coldiretti, l’export italiano verso Mosca nella prima parte del 2014 è addirittura aumentato dell’1 per cento, e non solo nel settore del lusso che da anni soddisfa i desideri dei nuovi ricchi di Russia. Ecco che ancora una volta la ragion d’Europa (intesa come Unione Europea) e il dovere morale si scontrano con le reali esigenze di un Paese, come è oggi l’Italia, in recessione e bisognoso di non perdere una fetta importante di mercato (siamo i quinti partner commerciali mondiali della Russia).
Pasta, carne e parmigiano I dati forniti in questi giorni dalla Coldiretti parlano chiaro: lo scorso anno sono finite in Russia frutta e verdura del Belpaese per un importo di 72 milioni di euro, pasta per 50 milioni e carne per 61 milioni. Tutte tipologie di prodotti inserite nella lista nera di Putin assieme a pesce, latte, formaggi. A rischiare grosso fiori all’occhiello italiani come il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano: «Nel 2013 l’export di Parmigiano in Russia ha toccato le 10.800 forme – ha dichiarato a “Repubblica – Bologna” Giuseppe Alai, Presidente del Consorzio del famoso formaggio – per un fatturato di 5,8 milioni e con una crescita del 16 per cento rispetto all’anno prima. Con l’embargo, la contrazione avrà una ricaduta in termini quasi completi, secondo noi». E dire che il Consorzio aveva previsto un piano per arrivare a vendere all’estero il 50 per cento della produzione, entro il 2020. Non va meglio per gli agrumi siciliani, le mozzarelle campane, le pere modenesi. O per aziende singole come la Cremonini, produttrice del marchio di carne in scatola Montana, che riforniva i McDonald’s russi con le sue derrate. Unica consolazione: sono esenti dal blocco delle importazioni deciso da Mosca tabacchi, cereali e, soprattutto, vini e spumanti, che da soli rappresentano il 16 per cento delle esportazioni agroalimentari italiane nell’ex Unione Sovietica.
Botta e risposta La Russia ha deciso di bloccare “fino ad un anno” l’import di materie prime ed alimenti nei confronti di tutti i Paesi che hanno aderito alle sanzioni seguite all’interferenza di Mosca nella guerra in Ucraina. Non solo Ue e Stati Uniti, ma anche Norvegia, Canada, Australia. E i vertici del Cremlino saranno liberi di accorciare o allungare il provvedimento. In questa lotta a colpi di embarghi e ritorsioni, saranno con l’acqua alla gola in particolare le nazioni che hanno nella Russia il partner commerciale di riferimento, come Lituania, Polonia e Finlandia, che chiederà il conto alla Ue in caso di perdite economiche importanti. Ma anche i cittadini russi potrebbero avere a che fare con scaffali vuoti e prezzi alle stelle.