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Diritto di critica | November 21, 2024

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Niente da fare, l'Italia è di nuovo in recessione

I dati Istat mostrano un crollo dell'export e un mercato interno stabile. Per ora l'effetto "80 euro" non si è visto

Fino a qualche giorno fa vi erano “timidi ma concreti segnali di ripresa”. Non lo diceva solo il governo, ma anche alcuni esperti economisti. Poi oggi è arrivata la doccia gelata dei dati Istat. L’Italia è in recessione “tecnica”. I dati del secondo trimestre (aprile, maggio e giugno) indicano come il Pil arretri rispetto al trimestre precedente dello 0,2%, peggio di quanto previsto dagli analisti che hanno previsto una percentuale molto vicina allo zero.

Crolla l’export. Il motivo della contrazione è dovuta essenzialmente dal rallentamento dell’economia globale. Se l’export è stato finora un toccasana per l’economia italiana, nonostante la crisi, oggi può diventare il suo tallone d’Achille. Certo, il nostro Paese manca di competitività, ma il problema oggi sembra sia più legato a ciò che avviene nel mondo: le guerre e il rallentamento della crescita in paesi come Cina e India. La stessa Germania, infatti, dopo anni positivi, potrebbe ritrovarsi presto anche lei con una contrazione dell’export.

Non cambia la domanda interna. In Italia, la domanda interna è rimasta pressoché invariata. Nessun effetto dei famosi 80 euro, forse anche perché i dati si riferiscono ad un periodo solo parzialmente interessato dal provvedimento. Ma illudersi che gli 80 euro possano essere la soluzione ad un’economia in stagnazione è da stolti. In primo luogo perché gli italiani ancora non dimostrano di credere effettivamente nella ripresa. Per questo, dai dati presentati da Confcommercio, solo parte degli 80 euro sono stati finora spesi. Se fossero stati immessi tutti immediatamente in circolo avrebbero generato una crescita dei consumi pari all’1%. Invece, secondo Confcommercio, nel mese di giugno la crescita è stata solo dello 0,1%.

Shock fiscale e sburocratizzazione, l’unica strada per la ripresa. Per questo serve un immediato shock fiscale. Bisogna cancellare gli sprechi, tagliare le tasse a chi finora ha pagato troppo (soprattutto la tassazione che incide sul costo del lavoro), ed accompagnare il tutto a riforme che semplifichino la macchina statale, lenta e burocratizzata, perché i finanziatori e investitori stranieri possano ancora credere nell’Italia.

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