Israele e Palestina, le origini di un conflitto che dura da sessant'anni
La creazione dello Stato di Israele, nel 1947, ha scatenato guerre infinite tra arabi ed ebrei. Che ancora oggi si uccidono a vicenda
Per capire da dove nasca uno dei focolai di guerra più spinosi della nostra epoca, e apparentemente senza soluzione, dobbiamo ancora una volta affidarci ai grovigli millenari della Storia. A quella Terra Promessa che gli ebrei hanno sognato per secoli, sin dalle diaspore subite durante l’Impero romano, e che hanno ritrovato improvvisamente nel 1947, quando l’Onu, dominata dal potere degli Stati Uniti, decide per la creazione dello Stato di Israele, con capitale Tel Aviv, tracciandone i confini a tavolino. Con la famosa “Risoluzione 181”, infatti, un Comitato internazionale elabora un Piano di partizione della Palestina, al fine di migliorare i già difficili rapporti tra ebrei e arabi, e di accogliere in un suolo comune tutti gli immigrati e coloro che erano scampati al genocidio perpetrato da Hitler. Ma è stata proprio questa forma di “risarcimento” per gli orrori subiti dagli ebrei durante la Shoah che ha scatenato l’inizio di una guerra infinita, senza vincitori né vinti. Come accaduto con la decolonizzazione dell’Africa, infatti, le potenze mondiali, Usa su tutte, hanno stabilito le frontiere politiche di nuove nazioni senza considerare quelle antropologiche, ovvero senza tener conto abbastanza delle popolazioni che già le abitavano: «La migrazione di migliaia di ebrei – scrive lo storico Paolo Viola – fu appoggiata dalla comunità internazionale già agli inizi del Novecento, c’erano addirittura apposite agenzie che acquistavano terreni e organizzavano il ritorno nella Terra Promessa. Ma questa Terra non era disabitata: era invece popolata da un milione di arabi palestinesi che l’immigrazione ebraica scacciò dalle loro terre. Così nel 1947, per risarcire una tragedia si aprì un altro dramma».
Una guerra annunciata La Palestina si trova divisa in uno Stato arabo, in uno israeliano (più grande dell’altro, ma non riconosciuto dalla maggior parte delle nazioni confinanti) e nella città neutrale di Gerusalemme, oggi divisa di fatto in due. Agli arabi (che allora costituivano i due terzi della popolazione della Palestina) viene assegnato un territorio piccolo e privato di sbocchi importanti come il Mar Rosso e il Mar di Galilea. Inevitabili i conflitti sanguinosi che si sono susseguiti nei decenni tra ebrei e arabi, con una decisiva componente religiosa che ha inasprito ancora di più la situazione. Già nel 1948 esplode la prima guerra arabo-israeliana, con Giordania, Egitto, Libano, Siria e Iraq che attaccano senza successo il nuovo Stato, e altre crisi (anche legate al petrolio e al controllo del canale di Suez) coinvolgeranno il Medio Oriente negli anni Sessanta e Settanta. Ma a pagare il conto più salato in questi ultimi quarant’anni sono stati i civili, a partire dai profughi palestinesi, e da coloro che sono rimasti intrappolati sotto occupazione militare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Piegati da embarghi, guerre, tregue e nuovi attacchi, terrorismo ed estremismi, li troviamo ancora lì, spesso tra l’indifferenza o quasi della comunità internazionale.
Senza soluzione? Da maldestro tentativo di Stati Uniti e Gran Bretagna di dare una patria agli ebrei, Israele si è trasformato presto in una pedina militare, diplomatica ed economica, divenendo il centro della disputa tra Usa e Urss durante la Guerra Fredda, delle guerre con Paesi come Egitto, Giordania e Siria, dell’esodo drammatico di migliaia di arabi, fino alla situazione odierna nella striscia di Gaza (il territorio conteso assieme alla Cisgiordania e autogovernato dall’autorità palestinese), dove continuano a morire uomini, donne e bambini innocenti.
Per capire da dove nasca uno dei focolai di guerra più spinosi della nostra epoca, e apparentemente senza soluzione, dobbiamo ancora una volta affidarci ai grovigli millenari della Storia. A quella Terra Promessa che gli ebrei hanno sognato per secoli, sin dalle diaspore subite durante l’Impero romano, e che hanno ritrovato improvvisamente nel 1947, quando l’Onu, dominata dal potere degli Stati Uniti, decide per la creazione dello Stato di Israele, con capitale Tel Aviv, tracciandone i confini a tavolino. Con la famosa “Risoluzione 181”, infatti, un Comitato internazionale elabora un Piano di partizione della Palestina, al fine di migliorare i già difficili rapporti tra ebrei e arabi, e di accogliere in un suolo comune tutti gli immigrati e coloro che erano scampati al genocidio perpetrato da Hitler. Ma è stata proprio questa forma di “risarcimento” per gli orrori subiti dagli ebrei durante la Shoah che ha scatenato l’inizio di una guerra infinita, senza vincitori né vinti. Come accaduto con la decolonizzazione dell’Africa, infatti, le potenze mondiali, Usa su tutte, hanno stabilito le frontiere politiche di nuove nazioni senza considerare quelle antropologiche, ovvero senza tener conto abbastanza delle popolazioni che già le abitavano: «La migrazione di migliaia di ebrei – scrive lo storico Paolo Viola – fu appoggiata dalla comunità internazionale già agli inizi del Novecento, c’erano addirittura apposite agenzie che acquistavano terreni e organizzavano il ritorno nella Terra Promessa. Ma questa Terra non era disabitata: era invece popolata da un milione di arabi palestinesi che l’immigrazione ebraica scacciò dalle loro terre. Così nel 1947, per risarcire una tragedia si aprì un altro dramma».
Una guerra annunciata La Palestina si trova divisa in uno Stato arabo, in uno israeliano (più grande dell’altro, ma non riconosciuto dalla maggior parte delle nazioni confinanti) e nella città neutrale di Gerusalemme, oggi divisa di fatto in due. Agli arabi (che allora costituivano i due terzi della popolazione della Palestina) viene assegnato un territorio piccolo e privato di sbocchi importanti come il Mar Rosso e il Mar di Galilea. Inevitabili i conflitti sanguinosi che si sono susseguiti nei decenni tra ebrei e arabi, con una decisiva componente religiosa che ha inasprito ancora di più la situazione. Già nel 1948 esplode la prima guerra arabo-israeliana, con Giordania, Egitto, Libano, Siria e Iraq che attaccano senza successo il nuovo Stato, e altre crisi (anche legate al petrolio e al controllo del canale di Suez) coinvolgeranno il Medio Oriente negli anni Sessanta e Settanta. Ma a pagare il conto più salato in questi ultimi quarant’anni sono stati i civili, a partire dai profughi palestinesi, e da coloro che sono rimasti intrappolati sotto occupazione militare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Piegati da embarghi, guerre, tregue e nuovi attacchi, terrorismo ed estremismi, li troviamo ancora lì, spesso tra l’indifferenza o quasi della comunità internazionale.
Senza soluzione? Da maldestro tentativo di Stati Uniti e Gran Bretagna di dare una patria agli ebrei, Israele si è trasformato presto in una pedina militare, diplomatica ed economica, divenendo il centro della disputa tra Usa e Urss durante la Guerra Fredda, delle guerre con Paesi come Egitto, Giordania e Siria, dell’esodo drammatico di migliaia di arabi, fino alla situazione odierna nella striscia di Gaza (il territorio conteso assieme alla Cisgiordania e autogovernato dall’autorità palestinese), dove continuano a morire uomini, donne e bambini innocenti.