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Diritto di critica | December 22, 2024

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In Iraq i jihadisti ''proclamano'' il califfato

Lo Stato Islamico di Iraq e Levante proclama il Califfato nelle aree conquistate in Siria e Iraq. I jihadisti l’hanno annunciato sabato, in curiosa concomitanza con l’inizio del Ramadan e in seguito a una riunione della Shura (il Consiglio islamico) nella quale è anche stato deciso che le parole “Siria” e “Iraq” verranno rimosse dalla sigla e che il nuovo nome sarà semplicemente “Stato Islamico”.

Abu Bakr al-Baghdadi, con giuramento di fedeltà, ha accettato di ricoprire il ruolo di Califfo dello Stato Islamico, ovvero di capo dei musulmani in tutto il mondo. Nell’audio rilasciato dallo Stato Islamico, il suo portavoce, Abu Mohammad al-Adnani, ha invitato i musulmani a “respingere la democrazia, la laicità, il nazionalismo e le altre sporcizie dell’Occidente per tornate alla religione”.

Fin dalla morte del profeta Maometto, il califfo veniva designato come “il principe” o “l’emiro” dei credenti nel mondo musulmano. Questa forma di governo scomparve con la fine dell’Impero Ottomano nel 1924, su disposizione di Mustafa Kemal Ataturk. Un annuncio che rispecchia perfettamente lo stile sensazionalistico e mediatico dell’Isil, da sempre molto attivo sui media e sui social network, ma che desta molto scetticismo, non soltanto per quanto riguarda la reale capacità dei jihadisti nella gestione politica ed economica del cosi detto “Stato”, elemento che non vale neanche la pena di considerare al momento, ma anche per lo stesso controllo del territorio, da sempre grande punto debole dell’Isil.

Lo Stato Islamico è inoltre detestato da gran parte della popolazione per i suoi efferati crimini, per le esecuzioni di massa, per il fanatismo religioso ed è persino stato criticato da altri gruppi jihadisti per il frequente utilizzo di attentatori suicidi. In tali condizioni risulta veramente difficile riuscire a radicarsi sul territorio.

Bisogna poi considerare che, secondo le ultime stime, lo Stato Islamico avrebbe a disposizione tra i seimila e i diecimila combattenti al massimo; un numero estremamente limitato che, se fatto espandere sul territorio, diventerebbe facilmente vulnerabile sia ad attacchi aerei che di terra. Lo Stato Islamico non è poi un blocco monolitico, nelle sue fila militano elementi provenienti da varie zone del mondo islamico e dall’Europa; fatto da tenere in considerazione visto che, prima o poi, potrebbe diventare causa di attriti interni.

I jihadisti avrebbero inoltre accusato diversi colpi negli ultimi giorni; l’esercito iracheno sarebbe infatti in procinto di riconquistare la città di Tikrit, mai pienamente caduta nelle mani dello Stato Islamico. Centinaia di jihadisti sarebbero inoltre stati uccisi nei dintorni di Baghdad. L’aviazione siriana ha poi bombardato postazioni dello Stato Islamico nelle zone di al-Qaim e Baji.

Nel frattempo dalla Siria è giunta la notizia che il ramo “Albu Kamal” del gruppo jihadista “Jabhat al-Nusra”, legata ad al-Qaeda, si è alleato con lo Stato Islamico. Fatto confermato su Twitter dallo stesso Stato Islamico che ha postato una foto di Abu Yusuf al-Masri e Shaykh Umar al-Shishani mentre si stringono la mano. Intanto sempre dalla Siria arrivano nuove notizie di barbarie commesse dallo Stato Islamico, questa volta contro i ribelli anti-Assad. I terroristi hanno giustiziato otto miliziani siriani nella regione di Aleppo e hanno poi esposto i corpi su croci di legno. Dai dintorni di Tikrit e Mosul arrivano documentazioni sulle esecuzioni di massa perpetrate dallo Stato Islamico nei confronti di sciiti, ma anche di tutti quei sunniti accusati di “apostasia” e di “tradimento”. Secondo la Human Rights watch, soltanto tra l’11 e il 14 giugno a Tikrit sarebbero state giustiziate 190 persone. E’ poi lo stesso Stato Islamico a vantarsi sui social network di aver ucciso più di 1700 soldati iracheni, tutti con esecuzioni sommarie in pubblica piazza.

Una cosa è certa, la rapida evoluzione dell’ex Isil non può non destare dubbi e interrogativi. Come ha fatto un gruppo nato soltanto nell’aprile del 2013, dalle ceneri di ciò che era “al-Qaeda Iraq”, a ottenere in così breve tempo tutti i finanziamenti e gli strumenti necessari per assumere il controllo della Siria nord-orientale, diventando forza predominante non soltanto all’interno della “resistenza” anti-Assad ma anche in Iraq?

L’obiettivo dello Stato Islamico è veramente quello di ristabilire il Califfato e di riunire i “credenti”? Una cosa è certa, al momento il gruppo terrorista ha ottenuto tre evidenti risultati: in primis, con i genocidi commessi in Iraq, ha inasprito l’odio già presente tra sciiti e sunniti, portando la situazione a un punto di non-ritorno. In secondo luogo, ha riunito in un’unica zona fanatici jihadisti provenienti da tutto il mondo, che hanno lasciato i propri paesi per unirsi alle file dello stato Islamico. L’Isil ha inoltre ulteriormente frammentato la resistenza anti-Assad, puntando all’egemonia nella zona e imponendo la propria visione radicale in un paese che da sempre è luogo di tolleranza e dialogo tra fedi. Tutti elementi su cui riflettere attentamente.

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