Novant'anni fa l'omicidio Matteotti, quel socialista contro il fascismo
Il 10 giugno del 1924 veniva ammazzato il politico che denunciò il fascismo. «Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai», diceva
Di lui le giovani generazioni ricordano soprattutto la tragica morte studiata a scuola e un numero imprecisato di strade a suo nome. Oggi, a novant’anni dalla scomparsa e in tempi difficili per le ideologie e i governi europei, è bene parlare di Giacomo Matteotti come di un politico che si impegnò per la democrazia e osò sfidare il fascismo nel momento in cui si capì che sarebbe diventato una minaccia reale allo Stato parlamentare: «La nostra resistenza al regime dell’arbitrio dev’essere più attiva – diceva riferendosi ai compagni di partito – Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati […] Un partito di classe e di netta opposizione non può che accogliere coloro i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano». Rapito e ucciso dai fascisti nel 1924 perché personaggio scomodo, Matteotti fu per anni un deputato socialista e un politico combattivo e severo: la tempra si vide già allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale, quando fu mandato al confino in Sicilia a causa del suo antimilitarismo e della lotta contro l’entrata in guerra da parte dell’Italia.
Contro il fascismo Ma la storia di Matteotti è legata soprattutto alla militanza nel partito socialista, poi diviso in correnti come quella del Partito Socialista Unitario, di cui divenne segretario nel 1922. Prima di morire per mano di un gruppo di squadristi, a soli 39 anni, egli denunciò il pericolo fascista e la deriva politica imminente. Fu lui, nel 1921, a pubblicare l’“Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”, presa di coscienza delle violenze a base di manganello e olio di ricino durante la campagna elettorale di quell’anno. E sempre lui con coraggio scrisse un libro, pubblicato anche in Inghilterra, dal titolo “Un anno di dominazione fascista”, affermando come la presunta intenzione dei fascisti di usare la violenza per riportare la normalità dopo gli scioperi del “biennio rosso” fosse solo una copertura per traghettare il Paese verso una dittatura.
L’ultimo discorso Dopo le elezioni politiche dell’aprile del 1924, che confermarono lo strapotere fascista, Matteotti pronunciò alla Camera un accorato discorso, lamentando un clima di violenza e intimidazione attorno al voto di qualche settimana prima: «Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza […] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà… […] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse». Il deputato faticò a portare a termine l’arringa, interrotto più volte dai parlamentari fascisti, e poco dopo, conscio del pericolo che correva, disse ai suoi: «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me».
Di lui le giovani generazioni ricordano soprattutto la tragica morte studiata a scuola e un numero imprecisato di strade a suo nome. Oggi, a novant’anni dalla scomparsa e in tempi difficili per le ideologie e i governi europei, è bene parlare di Giacomo Matteotti come di un politico che si impegnò per la democrazia e osò sfidare il fascismo nel momento in cui si capì che sarebbe diventato una minaccia reale allo Stato parlamentare: «La nostra resistenza al regime dell’arbitrio dev’essere più attiva – diceva riferendosi ai compagni di partito – Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati […] Un partito di classe e di netta opposizione non può che accogliere coloro i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano». Rapito e ucciso dai fascisti nel 1924 perché personaggio scomodo, Matteotti fu per anni un deputato socialista e un politico combattivo e severo: la tempra si vide già allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale, quando fu mandato al confino in Sicilia a causa del suo antimilitarismo e della lotta contro l’entrata in guerra da parte dell’Italia.
Contro il fascismo Ma la storia di Matteotti è legata soprattutto alla militanza nel partito socialista, poi diviso in correnti come quella del Partito Socialista Unitario, di cui divenne segretario nel 1922. Prima di morire per mano di un gruppo di squadristi, a soli 39 anni, egli denunciò il pericolo fascista e la deriva politica imminente. Fu lui, nel 1921, a pubblicare l’“Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”, presa di coscienza delle violenze a base di manganello e olio di ricino durante la campagna elettorale di quell’anno. E sempre lui con coraggio scrisse un libro, pubblicato anche in Inghilterra, dal titolo “Un anno di dominazione fascista”, affermando come la presunta intenzione dei fascisti di usare la violenza per riportare la normalità dopo gli scioperi del “biennio rosso” fosse solo una copertura per traghettare il Paese verso una dittatura.
L’ultimo discorso Dopo le elezioni politiche dell’aprile del 1924, che confermarono lo strapotere fascista, Matteotti pronunciò alla Camera un accorato discorso, lamentando un clima di violenza e intimidazione attorno al voto di qualche settimana prima: «Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza […] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà… […] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse». Il deputato faticò a portare a termine l’arringa, interrotto più volte dai parlamentari fascisti, e poco dopo, conscio del pericolo che correva, disse ai suoi: «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me».