Brasile: un Mundial caldo, anche per le proteste
Ma contraddizioni e malcontento nel partito della Roussef partono da lontano
di Emiliano Germani
Scontri tra indios armati di frecce e poliziotti in assetto da guerra; ingorghi chilometrici sulle strade per il blocco dei mezzi pubblici; manifestazioni in strada e guerriglia nelle favelas tra squadre speciali e malavita legata al settore della droga. Alla vigilia del calcio di inizio del Mondiale di calcio la situazione in Brasile appare alquanto agitata. Minacce di scioperi e proteste incombono sull’evento fortemente voluto per celebrare la straordinaria crescente potenza economica di un Paese che appare, tuttavia, ancora attraversato da contraddizioni e conflitti interni. E c’è un sondaggio degli ultimi giorni che offre letteralmente la cifra della questione. Secondo il quotidiano “O Globo”, solo il 48% i brasiliani sono contenti di ospitare il Mondiale: in un Paese in cui il calcio è letteralmente religione per la stragrande maggioranza della popolazione, si tratta di un dato che fa molto riflettere.
Ma da cosa nasce il fermento del Brasile pre-Mundial? La situazione appare abbastanza complessa ed sostanzialmente frutto di un mix di fattori di varia natura. Innanzitutto c’è la protesta che nasce dalla sperequazione nella redistribuzione delle risorse derivanti da una crescita economica sorprendente.
Paradossalmente, le politiche di sviluppo sociale ed economico degli ultimi anni, portate avanti soprattutto sotto la Presidenza Lula, hanno creato le premesse per la crescita non solo del benessere, ma anche del malcontento. In un Brasile con più lavoro e un livello di istruzione medio della popolazione più elevato, appare sempre più insopportabile la coscienza delle enormi differenze tra la vita dorata della minoranza ricca e le ristrettezze che caratterizzano l’esistenza della maggioranza povera. Già nel 2013 la protesta aveva dimostrato di saper sfruttare il palcoscenico offerto dalla Confederation Cup per ottenere visibilità internazionale e mettere alle corde il Governo.
Ora, con il Mondiale, la storia si ripete. Mezzo Brasile sembra essere pronto a scendere in piazza e scioperare, dai lavoratori dei trasporti pubblici che si dichiarano pronti a lasciare a piedi le decine di migliaia di tifosi in arrivo nelle città mondiali, ai docenti, fino alle forse di polizia locale e federale.
La richiesta, da parte di tutti, è quella di adeguamenti salariali al costo della vita, oltre a interventi per migliorare il welfare nel settore sanitario, previdenziale e scolastico. Il Governo finora ha risposto picche, oppure ha presentato offerte considerate però inadeguate dai lavoratori in agitazione. E la tensione è cresciuta, considerando che chi protesta sa di avere una ribalta mediatica eccezionale a sua disposizione.
Sul Brasile incombono anche le elezioni presidenziali, previste per il mese di ottobre. Quale miglior occasione per strappare promesse al governo uscente e ai partiti che ambiscono a sostituirlo? La presidente Dilma Roussef ha ovviamente puntato molto sul mondiale per presentare al mondo il “miracolo” del Brasile, grande potenza economica in ascesa. Ma ora, complici anche le polemiche su costi considerati troppo elevati e su presunte ruberie ed inefficienze legate alla realizzazione delle opere mondiali, quello che doveva trasformarsi in un
trionfo del presidente rischia di diventare, quantomeno, una grossa grana. E a testimonianza che, sostanzialmente, tutto il mondo è paese, anche in Brasile monta l’onda dell’anti-politica, con i partiti tradizionali messi sotto accusa dalle piazze reali e da quelle virtuali del web, animate dalla presenza crescente dei movimenti di protesta che fanno riferimento a intellettuali, giornalisti d’inchiesta e leader cresciuti “dal basso”. E negli ultimi giorni, alle proteste politiche si sono aggiunti anche gli indios, che contrastano una nuova legge sull’esproprio dei terreni forestali. Durante uno dei numerosi picchettaggi organizzati nelle maggiori città, uno di loro esasperato ha scagliato una freccia che, seppur non andata a segno, ha scatenato una dura
carica di polizia.
Altro fronte assai caldo è quello delle favelas, da mesi sono in stato di assedio da parte delle forze speciali dell’esercito e della polizia. Qui si mischiano le strategie dei capi narcos che tentano approfittare del caos nel Paese per riconquistare spazio ai loro traffici, le proteste dei nuovi senzatetto sgombrati dalle favelas spianate per fare spazio alle opere del Mondiale e il disagio generalizzato degli abitanti per le condizioni di degradi e povertà in cui versano. Una miscela pericolosa, che le autorità brasiliane vogliono assolutamente evitare di far esplodere durante il periodo del Mondiale.
Il Governo ha finora risposto alle tensioni soprattutto con la scelta di una linea abbastanza dura: mobilitazione della polizia militare e dell’esercito, sostanziale militarizzazione delle favelas, intransigenza con le proteste violente, maggiori controlli di intelligence anche sui social network, minacce di sanzioni giudiziarie e licenziamenti contro i lavoratori che scioperano violando le regole. Ma, oltre al rischio di suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica, eventuali atti repressivi potrebbero peggiorare la situazione e spaventare i turisti del Mondiale, spingendoli magari alla fuga o alla rinuncia della “vacanza Mundial”. Un pericolo assolutamente da evitare. E’
probabile, quindi, che alla fine qualche concessione verrà fatta. E magari, con un po’ di fortuna, se il Brasile otterrà buoni risultati sul campo da gioco, qualcuno degli arrabbiati abbandonerà la piazza delle proteste per godersi le partite in tv o allo stadio.
di Emiliano Germani
Scontri tra indios armati di frecce e poliziotti in assetto da guerra; ingorghi chilometrici sulle strade per il blocco dei mezzi pubblici; manifestazioni in strada e guerriglia nelle favelas tra squadre speciali e malavita legata al settore della droga. Alla vigilia del calcio di inizio del Mondiale di calcio la situazione in Brasile appare alquanto agitata. Minacce di scioperi e proteste incombono sull’evento fortemente voluto per celebrare la straordinaria crescente potenza economica di un Paese che appare, tuttavia, ancora attraversato da contraddizioni e conflitti interni. E c’è un sondaggio degli ultimi giorni che offre letteralmente la cifra della questione. Secondo il quotidiano “O Globo”, solo il 48% i brasiliani sono contenti di ospitare il Mondiale: in un Paese in cui il calcio è letteralmente religione per la stragrande maggioranza della popolazione, si tratta di un dato che fa molto riflettere.
Ma da cosa nasce il fermento del Brasile pre-Mundial? La situazione appare abbastanza complessa ed sostanzialmente frutto di un mix di fattori di varia natura. Innanzitutto c’è la protesta che nasce dalla sperequazione nella redistribuzione delle risorse derivanti da una crescita economica sorprendente.
Paradossalmente, le politiche di sviluppo sociale ed economico degli ultimi anni, portate avanti soprattutto sotto la Presidenza Lula, hanno creato le premesse per la crescita non solo del benessere, ma anche del malcontento. In un Brasile con più lavoro e un livello di istruzione medio della popolazione più elevato, appare sempre più insopportabile la coscienza delle enormi differenze tra la vita dorata della minoranza ricca e le ristrettezze che caratterizzano l’esistenza della maggioranza povera. Già nel 2013 la protesta aveva dimostrato di saper sfruttare il palcoscenico offerto dalla Confederation Cup per ottenere visibilità internazionale e mettere alle corde il Governo.
Ora, con il Mondiale, la storia si ripete. Mezzo Brasile sembra essere pronto a scendere in piazza e scioperare, dai lavoratori dei trasporti pubblici che si dichiarano pronti a lasciare a piedi le decine di migliaia di tifosi in arrivo nelle città mondiali, ai docenti, fino alle forse di polizia locale e federale.
La richiesta, da parte di tutti, è quella di adeguamenti salariali al costo della vita, oltre a interventi per migliorare il welfare nel settore sanitario, previdenziale e scolastico. Il Governo finora ha risposto picche, oppure ha presentato offerte considerate però inadeguate dai lavoratori in agitazione. E la tensione è cresciuta, considerando che chi protesta sa di avere una ribalta mediatica eccezionale a sua disposizione.
Sul Brasile incombono anche le elezioni presidenziali, previste per il mese di ottobre. Quale miglior occasione per strappare promesse al governo uscente e ai partiti che ambiscono a sostituirlo? La presidente Dilma Roussef ha ovviamente puntato molto sul mondiale per presentare al mondo il “miracolo” del Brasile, grande potenza economica in ascesa. Ma ora, complici anche le polemiche su costi considerati troppo elevati e su presunte ruberie ed inefficienze legate alla realizzazione delle opere mondiali, quello che doveva trasformarsi in un
trionfo del presidente rischia di diventare, quantomeno, una grossa grana. E a testimonianza che, sostanzialmente, tutto il mondo è paese, anche in Brasile monta l’onda dell’anti-politica, con i partiti tradizionali messi sotto accusa dalle piazze reali e da quelle virtuali del web, animate dalla presenza crescente dei movimenti di protesta che fanno riferimento a intellettuali, giornalisti d’inchiesta e leader cresciuti “dal basso”. E negli ultimi giorni, alle proteste politiche si sono aggiunti anche gli indios, che contrastano una nuova legge sull’esproprio dei terreni forestali. Durante uno dei numerosi picchettaggi organizzati nelle maggiori città, uno di loro esasperato ha scagliato una freccia che, seppur non andata a segno, ha scatenato una dura
carica di polizia.
Altro fronte assai caldo è quello delle favelas, da mesi sono in stato di assedio da parte delle forze speciali dell’esercito e della polizia. Qui si mischiano le strategie dei capi narcos che tentano approfittare del caos nel Paese per riconquistare spazio ai loro traffici, le proteste dei nuovi senzatetto sgombrati dalle favelas spianate per fare spazio alle opere del Mondiale e il disagio generalizzato degli abitanti per le condizioni di degradi e povertà in cui versano. Una miscela pericolosa, che le autorità brasiliane vogliono assolutamente evitare di far esplodere durante il periodo del Mondiale.
Il Governo ha finora risposto alle tensioni soprattutto con la scelta di una linea abbastanza dura: mobilitazione della polizia militare e dell’esercito, sostanziale militarizzazione delle favelas, intransigenza con le proteste violente, maggiori controlli di intelligence anche sui social network, minacce di sanzioni giudiziarie e licenziamenti contro i lavoratori che scioperano violando le regole. Ma, oltre al rischio di suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica, eventuali atti repressivi potrebbero peggiorare la situazione e spaventare i turisti del Mondiale, spingendoli magari alla fuga o alla rinuncia della “vacanza Mundial”. Un pericolo assolutamente da evitare. E’
probabile, quindi, che alla fine qualche concessione verrà fatta. E magari, con un po’ di fortuna, se il Brasile otterrà buoni risultati sul campo da gioco, qualcuno degli arrabbiati abbandonerà la piazza delle proteste per godersi le partite in tv o allo stadio.