Disoccupati e precari, la (nuova) fuga dal Sud
Le misure del governo potrebbero arrestare la disoccupazione crescente. Ma subito dopo bisogna combattere il precariato
Va bene il Job Act. Vanno bene gli 80 euro. Meno burocrazia e più soldi nelle tasche dei lavoratori. Una scelta che potrebbe far crescere l’economia e creare posti di lavoro. È certamente questa l’urgenza del Paese che vede fuggire all’estero i propri figli, perché qui il lavoro non c’è. Ma, oltre alla disoccupazione, non possiamo dimenticarci il dramma del precariato che ha poco a che fare con la necessaria flessibilità.
Al sud, più che al nord. L’elevata disoccupazione dei giovani ha raggiunto livelli da allarme sociale. Dal Meridione sono emigrati negli ultimi dieci anni un numero di ragazzi pari alla città di Palermo, in base ai dati recentemente diffusi dalla Svimez, associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Molti sono finiti al Nord, come avveniva negli anni sessanta. Altri, quelli con un livello di istruzione più elevato, sono volati fuori dai confini nazionali, ben più a nord di Milano e Torino. La sola provincia di Napoli ha perso quasi 100mila abitanti. Ma rispetto agli anni sessanta – quando l’emigrazione era legata a processi di urbanizzazione e di industrializzazione – adesso si fugge dalla città. Viceversa al nord, la popolazione dei comuni più grandi è in aumento, come anche la popolazione residente a Roma.
Napoli e Palermo, addio lavoro. Dal 2001 ad oggi, il tasso di occupazione è salito al nord mentre è sceso al sud, che già partiva da livelli piuttosto bassi. Nelle regioni meridionali è occupato solo il 42% della popolazione, mentre al nord lavora quasi il 63%. Napoli e Palermo le città peggiori: qui i lavoratori rappresentano rispettivamente il 36 e il 37% della popolazione residente, record negativo nell’Unione europea. Certo, questi dati non considerano i lavoratori in nero, ma certamente sono molto indicativi della situazione complessiva.
Quel contratto (unico) dimenticato. Quindi, è indubbio che in Italia e soprattutto al sud c’è bisogno di far ripartire l’economia per ridare un futuro ai giovani. Ma questo futuro non si può garantire senza una lotta seria al precariato. Perché un precario può sopravvivere, ma non può progettare un futuro, almeno non qui in Italia. Allora sarebbe bello, visto che il Job Act è in dirittura d’arrivo insieme agli 80 euro, iniziare a parlare di “contratto unico” che spaventa tanto i sindacati e gli imprenditori “furbi”. Via i co.co.pro., via i contratti a tempo, via le false partite iva, via l’articolo 18. Insomma, via ipertutelati e ipersfruttati. Contratti uguali per tutti, con tutele crescenti nel tempo. e un nuovo welfare che tuteli e protegga il lavoratore (non solo il dipendente a tempo indeterminato, come avviene oggi) nel periodo tra un lavoro e l’altro. Questa è l’unica strada per ridare un futuro ai giovani e all’Italia.
Va bene il Job Act. Vanno bene gli 80 euro. Meno burocrazia e più soldi nelle tasche dei lavoratori. Una scelta che potrebbe far crescere l’economia e creare posti di lavoro. È certamente questa l’urgenza del Paese che vede fuggire all’estero i propri figli, perché qui il lavoro non c’è. Ma, oltre alla disoccupazione, non possiamo dimenticarci il dramma del precariato che ha poco a che fare con la necessaria flessibilità.
Al sud, più che al nord. L’elevata disoccupazione dei giovani ha raggiunto livelli da allarme sociale. Dal Meridione sono emigrati negli ultimi dieci anni un numero di ragazzi pari alla città di Palermo, in base ai dati recentemente diffusi dalla Svimez, associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Molti sono finiti al Nord, come avveniva negli anni sessanta. Altri, quelli con un livello di istruzione più elevato, sono volati fuori dai confini nazionali, ben più a nord di Milano e Torino. La sola provincia di Napoli ha perso quasi 100mila abitanti. Ma rispetto agli anni sessanta – quando l’emigrazione era legata a processi di urbanizzazione e di industrializzazione – adesso si fugge dalla città. Viceversa al nord, la popolazione dei comuni più grandi è in aumento, come anche la popolazione residente a Roma.
Napoli e Palermo, addio lavoro. Dal 2001 ad oggi, il tasso di occupazione è salito al nord mentre è sceso al sud, che già partiva da livelli piuttosto bassi. Nelle regioni meridionali è occupato solo il 42% della popolazione, mentre al nord lavora quasi il 63%. Napoli e Palermo le città peggiori: qui i lavoratori rappresentano rispettivamente il 36 e il 37% della popolazione residente, record negativo nell’Unione europea. Certo, questi dati non considerano i lavoratori in nero, ma certamente sono molto indicativi della situazione complessiva.
Quel contratto (unico) dimenticato. Quindi, è indubbio che in Italia e soprattutto al sud c’è bisogno di far ripartire l’economia per ridare un futuro ai giovani. Ma questo futuro non si può garantire senza una lotta seria al precariato. Perché un precario può sopravvivere, ma non può progettare un futuro, almeno non qui in Italia. Allora sarebbe bello, visto che il Job Act è in dirittura d’arrivo insieme agli 80 euro, iniziare a parlare di “contratto unico” che spaventa tanto i sindacati e gli imprenditori “furbi”. Via i co.co.pro., via i contratti a tempo, via le false partite iva, via l’articolo 18. Insomma, via ipertutelati e ipersfruttati. Contratti uguali per tutti, con tutele crescenti nel tempo. e un nuovo welfare che tuteli e protegga il lavoratore (non solo il dipendente a tempo indeterminato, come avviene oggi) nel periodo tra un lavoro e l’altro. Questa è l’unica strada per ridare un futuro ai giovani e all’Italia.