Milano, la moschea della discordia
La riunione di ieri pomeriggio tra l’assessore alle politiche sociali, Pierfrancesco Majorino e i rappresentanti delle varie comunità islamiche milanesi non ha portato a grossi passi in avanti, tanto che è stata convocata una nuova riunione per il prossimo 29 maggio.
L’Islam milanese è diviso
I musulmani continuano ad essere divisi e se non si mettono d’accordo il progetto moschea, da terminare in tempo per l’Expo 2015, rischia di saltare. La Giunta milanese si aspetta che i principali gruppi islamici presenti sul territorio mettano da parte divisioni dottrinarie, etniche e politiche per intraprendere un progetto di gestione condivisa; in tal caso il Comune sarebbe pronto a concedere un’area pubblica per la costruzione della prima grande moschea con minareto del capoluogo lombardo. L’edificio potrebbe essere costruito al posto del Palasharp di Lampugnano.
E’ però realistico pensare che le varie anime dell’Islam milanese riescano a mettersi d’accordo in meno di un mese quando non lo hanno fatto per decenni? L’Islam non è mai stato un blocco monolitico a causa delle differenze in ambito dottrinario, politico, sociale, culturale ed etnico che hanno portato a diverse espressioni a seconda del contesto di riferimento; differenze che si riflettono anche in Italia e a Milano. Un dato di fatto innegabile nonostante che alcune aree di tendenza salafita continuino a promuovere un’utopica visione “universalista” dell’Islam che fa però fatica a trovare riscontro nella realtà dei fatti e che finisce anch’essa per diventare una visione particolarista.
Tutti i passi falsi del Caim
La questione milanese è complicata e lo è diventato ancor di più in seguito agli ultimi eventi che hanno visto protagonista il Caim e il suo coordinatore, Davide Piccardo che, pochi giorni fa, ha pubblicato sulla propria pagina di Facebook il post: “Andare alla manifestazione del 25 aprile con la bandiera israeliana significa insultare la resistenza”.
Immediata la replica di Majorino:”La tua sulla bandiera di Israele è una frase semplicemente terrificante”. Piccardo però non si scompone: “Io ho espresso una mia posizione personale, non a nome del Caim: ho affermato, e ribadisco, che è inopportuno, alla festa per la liberazione da un’occupazione, portare bandiere di uno Stato che si fonda su un’occupazione. Anche se non condivido le contestazioni in piazza”.
Durissima la replica da parte della Comunità Ebraica; Daniele Nahum, consigliere della comunità ebraica e responsabile alla cultura del PD a Milano afferma: “Piccardo non ha il senso della vergogna… non conosce la storia. Altrimenti eviterebbe di farneticare in questo modo”. Condanne anche da parte del deputato Emanuele Fiano e il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.
Anche le altre realtà islamiche di Milano non hanno preso bene l’esternazione di Piccardo: “L’ennesima provocazione che squalifica, se non il Caim, il suo coordinatore. Non è di questo che ha bisogno la comunità islamica milanese”, dichiara l’imam Yahya Pallavicini, vice-presidente della Coreis.
Non è la prima volta che Davide Piccardo, “a titolo individuale”, come lui sostiene, genera controversie che mettono in seria difficoltà il Caim; un chiaro esempio sono le posizioni politiche in favore dei Fratelli Musulmani egiziani filo-Mursi che hanno notevolmente contribuito al fatto che il Caim è stato additato come organizzazione vicina ai Fratelli Musulmani.
C’è poi la polemica generata in seguito alla mancata lettura del messaggio dell’arcivescovo Scola alla festa di fine Ramadan 2012 quando Piccardo dichiarò:
“Riceviamo tanti messaggi, non solo dalla Chiesa cattolica, ringraziamo l’arcivescovo ma è la nostra cerimonia religiosa, abbiamo invitato solo le istituzioni a parlare. Io del resto non pretendo di intervenire alla messa di Natale”.
Quando si ricoprono cariche di rappresentanza e di responsabilità le esternazioni a titolo individuale rischiano comunque di compromettere il gruppo a cui si fa riferimento, difficile non rendersene conto.
Il Caim è inoltre finito sotto l’occhio dei riflettori nei giorni scorsi per degli articoli pubblicati sul Giornale, Panorama e L’Intellettuale Dissidente, che hanno messo in evidenza alcuni rapporti tra membri e simpatizzanti del Caim e personaggi legati al radicalismo, come l’esponente dei Fratelli Musulmani egiziani Salah Sultan (noto per le sue dichiarazioni contro cristiani ed ebrei) e Musa Cerantonio, definito da un recente rapporto dell’International Centre for the Study of Radicalization come una delle più influenti guide spirituali per i jihadisti in partenza per la Siria.
La questione giordana
Un’alternativa al progetto Palasharp è comunque pronta; un edificio in zona viale Certosa sponsorizzato dalla Giordania, paese che gode di prestigio e rappresenta una garanzia. Un paese che ha tra l’altro ottimi rapporti con il Comune di Milano, basta ricordare le visite importanti come quella della regina Rania, cittadina onoraria del capoluogo lombardo dal 2005. I centri islamici locali fanno però sapere di non gradire l’intervento di Paesi esteri, come nel caso della Grande Moschea di Roma.
I rischi di una soluzione comune
La “progettualità comune” auspicata da Majorino risulta altamente improbabile visto l’attuale contesto; rischierebbe di diventare una forzatura che non farebbe altro che posticipare e soffocare tutti i relativi contrasti interni che finirebbero comunque per riemergere alla prima occasione. Anche dando per plausibile l’eventualità che i dirigenti delle varie organizzazioni islamiche milanesi riescano a trovare un accordo iniziale, come si potrebbe poi garantire l’imparzialità e la rappresentanza di tutte le anime dell’Islam milanese? Come mettere insieme gli imam di viale Jenner con i sufi turchi e senegalesi? I gruppi vicini ai Fratelli Musulmani con coloro che sono invece contrari alla presenza della politica all’interno delle moschee? Chi si occuperebbe della khutba (il sermone) del venerdì? Quali titoli e credenziali dovrebbero avere gli imam e i dirigenti per poter operare all’interno del centro?
Vi è poi il delicato discorso legato alla situazione internazionale dei Fratelli Musulmani che rischia di avere pesanti ripercussioni politiche sulla stessa Giunta in caso di scelte poco ponderate. Insomma, la questione moschea è diventata una grossa patata bollente per il Comune di Milano.