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Diritto di critica | December 26, 2024

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Se i giovani non credono più nell'università - Diritto di critica

laureaLa laurea ormai vale poco, di certo non è più il titolo di studio che assicura una fulgida carriera lavorativa appena usciti dall’università.

Un tempo chi otteneva una corona d’alloro era considerato portatore di una formazione superiore, utile alle aziende e a quanti volessero scommettere su un sapere frutto di studi superiori. Oggi la situazione è tanto paradossale da suonare quasi assurda: la laurea garantisce ben poco, tanto che il 30% dei 19enni decide di intraprendere percorsi diversi da quelli d’ateneo.

A dirlo è la ricerca annuale di Almalaurea che ha preso in esame 450mila laureati post riforma di tutti i 64 atenei aderenti alla rete e ha riguardato i laureati triennali e magistrali del 2012 (intervistati dopo un anno) e i laureati magistrali del 2008 (intervistati dopo cinque anni). A dodici mesi dal titolo, il tasso di disoccupazione tra i laureati triennali (non iscritti ad un altro corso di laurea) è cresciuto, rispetto all’anno precedente, di oltre tre punti percentuali (dal 23 al 26.5 per cento). Un aumento più contenuto, invece, fra i laureati magistrali (dal 21 al 23 per cento).

Fra i laureati triennali del 2012, invece, il tasso di occupazione ad un anno dal titolo e’ pari al 66 per cento: 4 punti percentuali in meno rispetto ai colleghi magistrali (70%) ma nove punti in piu’ rispetto a quelli di ciclo unico (57%).

A cinque anni dalla laurea, invece, la situazione migliora. Certo, non è dato sapere se l’occupazione ottenuta sia in linea con le aspettative e con gli studi conseguiti ma, stando ai dati di Almalaurea, a cinque anni dall’alloro la disoccupazione, indipendentemente dal tipo di laurea, si attesta su valori inferiori al 10 per cento (8% per i laureati di primo livello; 8,5 per i magistrali e 5 per quelli a ciclo unico). E – per converso – a cinque anni dal conseguimento del titolo, l’occupazione (indipendentemente dal tipo di laurea) è prossima a ben il 90 per cento: nel dettaglio per i laureati triennali è l’89 per cento; per i laureati magistrali è dell’87 per cento; per i magistrali a ciclo unico è il 90 per cento.

Il dato allarmante, però, è un altro. Secondo il rapporto, infatti, solo il 30% dei 19enni si iscrive a un corso universitario: i nostri giovani non credono più che concludere gli studi con un percorso di laurea sia profittevole. Il 70% dei diciannovenni – rovesciando le percentuali – opta per un’altra soluzione diversa dall’università. “D’altra parte – si legge nel rapporto – le aspettative di raggiungere l’obiettivo fissato dalla Commissione europea per il 2020, il 40 per cento di laureati nella popolazione di eta’ 30-34 anni, sono ormai vanificate per ammissione dello stesso governo italiano”. Governo che “ha rivisto l’obiettivo che piu’ realisticamente si puo’ attendere il nostro paese raggiungendo al massimo il 26-27 per cento. La Commissione europea, non ha potuto che prenderne atto”.

Tra chi decide di iscriversi presso un ateneo, però, dopo la laurea subentra l’emergenza lavoro nero che nel 2013 ha riguardato l’8% dei laureati triennali, il 9% dei magistrali e il 13% dei laureati a ciclo unico. Giovani che non esistono e che, pur di avere uno stipendio, hanno dovuto accontentarsi di rinunciare a contributi e pensione (se mai ne vedranno una).

I più fortunati, invece, a un anno dalla laurea guadagnano circa mille euro nette al mese in busta paga. Anche in questo caso, a cinque anni dall’alloro la situazione migliora: 1.400 euro netti in busta paga. Non per tutti ovviamente.

Sullo sfondo restano le vite precarie, i curricula inviati meccanicamente fino allo spasimo, colloqui di lavoro tanto surreali quanto ingiusti e quella richiesta incessante di “esperienza pregressa” che i nostri corsi di laurea non garantiscono a nessuno.

E viene il sospetto tremendo – qui la politica dovrebbe dimostrarsi utile a ribaltare con mezzi e strumenti la situazione – che a non prenderla, quella laurea, forse non sarebbe cambiato poi molto.

Twitter@emilioftorsello

Comments

  1. Gioacchino Giorgio Nastasi

    Credo che il problema non sia solo il disamoramento o la sfiducia per il futuro,spesso è sopratutto la difficoltà di accedere all’Università e di avere una condizione economica per poterla frequentare..L’Introduzione del numero chiuso,Il ripiego su facoltà di seconda scelta perchè si era entrati solo là, con inevitabile spesso abbandono,i tempi e l’impossibilità di cambiare anche un paio di mesi dopo la scelta infausta(devi aspettare un anno e ripresentarti anche dove avevi superato l’accesso),Il concorso nazionale(un palermitano finirebbe a Roma e viceversa con aggravi di costo pesantissimi e spesso impossibili per le famiglie),sono ben più pesanti della perdita di fiducia nella laurea..Ma questi politici incompetenti in maniera assolutamente bipartisan continuano con il numero chiuso ed ora propongono perfino il premio del voto di diploma.Uno come John Nash non avrebbe mai preso il nobel se studiava in Italia perchè sarebbe stato respinto alla scuola superiore..Pensano di copiare l’A-level che è una altra cosa ( è nazionale a quiz e per singola materia)..La selezione la fa L’università non il test di accesso o il voto del liceo..Stanno continuando a distruggere una o meglio più generazioni ,un autentico crimine..