Collasso Nordest, continua la tragedia di imprenditori e lavoratori - Diritto di critica
C’era una volta il Nordest d’Italia, la locomotiva della nostra industria, il fiore all’occhiello della piccola impresa nostrana. Oggi il treno si è fermato, i piccoli imprenditori arrancano, molti pagano la disperazione con la vita, e anche se se ne parla da tanto, in realtà non se ne parla mai abbastanza. Si perché nel 2012 il 30 per cento dei suicidi per motivazioni economiche è avvenuto tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, e l’escalation di queste morti non si è più arrestata. Ma la tragedia è duplice, perché a morire è anche l’azienda, e il futuro di chi vi lavora dentro.
Migliaia di capannoni e stabili abbandonati, alcuni con la scritta “chiuso per lutto”: «Le aziende? Chiuse, tutte – ha detto a “La Stampa” Salvatore Federico, segretario generale di Filca-Cisl Veneto – non se n’è salvata nessuna. Oltre a perdere un marito, un padre, quelle famiglie perdono anche la fabbrica. Perché qui tutto è concentrato nelle mani del capo. Spesso, molto spesso, si deve rinunciare anche alla casa. Un’altra tragedia. Prima gli affetti, poi il lavoro, poi il capitale. La famiglia si spacca, si lacera. La situazione è disperata».
L’ultima tragedia Per esempio il caso recente di Giorgio Zanardi, titolare dell’omonima tipografia a Padova, suicida dieci giorni fa perché sommerso dai debiti. Una storia italiana comune a molte altre: azienda prospera fondata negli anni Sessanta, stampatrice per molti editori e specializzata in libri di prestigio, passata in pochi anni da 300 a 110 dipendenti, stroncata dalla crisi. Ora quei 110 operai (quasi tutti già da tempo in cassa integrazione, tra di loro anche la moglie e le due figlie dell’imprenditore) sono a casa in attesa di conoscere il loro futuro e l’esito del concordato, richiesto da Zanardi a gennaio. Al funerale del loro capo erano presenti, arrabbiati e delusi perché non c’era nessun rappresentante né della politica né dei sindacati di categoria.
Provare a reagire Alcune associazioni provano a dare un minimo di sostegno a chi è disperato. Come “Speranza al lavoro”, che a Padova fornisce consulenza psicologica e un centralino di ascolto sempre attivo. O “InOltre”, nel vicentino, struttura voluta dal governatore Zaia che aiuta telefonicamente e personalmente (attraverso operatori mobili sul territorio) chi richiede un aiuto.
I numeri, tra crisi e speranze Le aree che hanno subito maggiormente gli effetti della crisi sono quelle di Padova, Vicenza, Treviso, Pordenone. La Cgia di Mestre a dicembre scorso ha previsto addirittura un lieve cambiamento di rotta per quest’anno: «La dimensione della ripresa sarà molto contenuta – aveva dichiarato il segretario Giuseppe Bortolussi – tuttavia il tasso di disoccupazione subirà una leggerissima contrazione. Inoltre nel 2014 la ricchezza prodotta nel Nordest crescerà dello 0,9 per cento, mentre gli investimenti registreranno un significativo +1,2 per cento e l’export un +3,3 per cento». Ma la spallata decisiva alla crisi in realtà non si sa quando arriverà: «Vista la situazione generale – aveva concluso Bortolussi – è difficile fare previsioni di medio periodo. Molti istituti economici ritengono che recupereremo i livelli del 2007 non prima del 2018/2019».
Un male nazionale Non solo industrie e fabbriche, comunque. E non solo Nordest. Negli ultimi sei anni in tutta Italia hanno chiuso 134mila piccole imprese, 64mila di commercianti e 70mila botteghe artigianali. Nel 2013 sono state 149 le persone che si sono tolte la vita soffocate dai debiti e costrette a chiudere la loro attività. Un suicidio ogni due giorni e mezzo. Le motivazioni, secondo la Cgia, sono sempre le stesse: costo dell’energia elettrica e del gasolio (con aumenti in sei anni fino al 23%), ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, soffocamento del credito bancario, peso delle tasse e della burocrazia.