"Chi dice che andiamo da Berlusconi è ridicolo", tutti i dietrofront di Pierferdinando Casini
La votazione del Consiglio di Presidenza sulla costituzione di parte civile del Senato nei confronti di Silvio Berlusconi – nel procedimento sulla presunta compravendita di senatori di cui sarebbe stato vittima il governo Prodi nella XV legislatura – ha visto la vittoria dei No per dieci a otto, grazie alla montiana Linda Lanzillotta e all’Udc Antonio De Poli. Il voto (non vincolante), poi ribaltato dal presidente Grasso, sigla, di fatto, l’accordo tra Berlusconi e il suo nuovo alleato: Pierferdinando Casini, in Parlamento dal lontano 1983, ha collezionato otto legislature di fila, per un totale di 31 anni.
Certi uomini non cambiano mai e Casini è uno di questi. Somiglia ad uno di quei giocatori che fino al giorno prima indossano una maglia e giurano amore eterno ai suoi colori, ma non appena cambiano casacca sono pronti a esultare per un rigore inesistente segnato sotto la curva dei vecchi supporter.
La sua politica è double-face. Un solo comandamento: mai dire mai. E così, l’uomo che aveva sognato il “grande centro”, fatto finta di sciogliere il partito azzerando le cariche in vista del mai pervenuto “partito della Nazione” (una battuta?), ha dovuto ammettere sconsolato che il terzo polo oramai è Grillo e, non c’è più niente da fare, l’esperienza del grande centro è finita.
Sembra quasi di vederlo Casini: seduto nel suo cappotto blu, accanto a una finestra appannata dall’umidità, davanti a un cielo grigio di pioggia con la mente che torna ai bei tempi andati. La resa? Macché, infondo, le strade del signore sono o non sono infinite!? E allora, basta ingranare la retromarcia alla sua Udc, l’utilitaria sempre più piccola con cui si muove per le strade strette del centrismo, e tornare da dove si è venuti: da Silvio Berlusconi.
Per rendersi conto di quanto siano assolutamente “sentiti” e “mai” dettati dalle circostanze i giudizi di Casini, basta pescare a caso tra le sferzanti battute con cui bollava Berlusconi fino a qualche mese fa: a dicembre scorso attaccava gagliardamente: “Silvio è un genio: ma solo per i suoi interessi” (14/12/13). Quasi un anno fa, poi, Casini aveva finalmente scoperto la causa di tutti i mali d’Italia: “con le sue bugie, con le sue fandonie il Cavaliere ha messo il Paese in ginocchio. Fa promesse da Circo Togni” (20/2/13). Ma le elezioni erano alle porte, c’è da capirlo. Sono quelle cose che si dicono: “ieri sera ho acceso la tv e ho visto un ufo, uno spettacolo esilarante. Ho visto un signore che ha parlato come fosse arrivato in Italia in quel momento. Ora basta percorrere le strade della demagogia, del populismo, del ‘ci penso io’. Ci vuole verità, serietà. Tutta Europa prende le distanze da Berlusconi. Gli italiani facciano lo stesso. Non è un problema mio, ma di tutta l’umanità” (19/12/12). Addirittura!? Pare di si, infatti, il giorno dopo rincarava: “io a differenza di Silvio ho la mia dignità e la mia serietà. Lui è un tal bugiardo che oramai tutti conoscono le sue bugie. Io in questi anni non ho nemmeno voluto incontrarlo. Ma ricomporre cosa!? Io con lui non ho preso nemmeno un caffè, perché non mi fido” (20/12/12). Un uomo pericoloso, da cui stare alla larga. Un pericolo contro cui Casini decise di mobilitare i suoi agganci internazionali per il bene del Paese, “quando Berlusconi era ancora a palazzo Chigi, parlai con la Merkel e le dissi che l’unica salvezza possibile era Monti. Lei concordò con me” (31/12/12). Non c’erano dubbi che la Merkel concordasse sulla “cura” Monti, ma intanto lui glielo aveva detto e qualcuno un giorno avrebbe pur dovuto riconoscerlo. Un odio viscerale quello per il Cavaliere. Eppure, ad ottobre, Casini doveva tornare a smentire (chissà perché) le “falsità” dei retroscena, “chi dice che andiamo da Berlusconi è ridicolo” (19/10/2013). Poi il primo di febbraio l’annuncio shock: “torno con Berlusconi”.
Non si può dire che il leader centrista sia un esempio di coerenza. Cambiare opinione è lecito e Casini sa che il Cavaliere sarà pure un pregiudicato ma dal cuore d’oro e dall’infinita pazienza, capace sempre di perdonare e riaccogliere tutti. Anche quelli che, dimentichi di quanto ricevuto, hanno tentato di pugnalarlo alle spalle. La lista è lunga e colorita e in cima potrebbe starci tranquillamente Daniela Santanchè, una delle più dure oppositrici al rientro di Casini. Come se anche lei non avesse offeso l’unica ragione della sua vita politica (Berlusconi), ferendone l’orgoglio con l’impudente rivelazione: “io non gliel’ho mai data”. I falchi non vedono di buon occhio il ritorno, così come i giornalisti di regime, ma solo il realismo di Silvio è capace di raccogliere curare e restituire a nuova vita politicanti quasi morti per poi servirsene come vuole.
Casini è tra questi. Al delfino di Forlani, però, vanno riconosciuti almeno due meriti: la determinazione con cui ha trovato, o, per dire meglio, occupato (strano a dirsi per il suocero di Caltagirone) una casa e l’aplomb con cui si è offerto al padrone del centrodestra: con quel fare felpato che gli permette di chiudere senza sbattere mai la porta e lo rende un cimelio vivente della Dc, un pezzo da museo della prima Repubblica.
E di strada ne ha fatta quel giovane politico democristiano di belle speranze. Ritrovatosi di botto orfano della guida di Arnaldo Forlani – leader del cattolicesimo anticomunista, alleato del socialismo della ‘Milano da bere’, falcidiato da “mani pulite”- e vista infrangersi in mille pezzi la ‘Balena bianca’, Casini sceglie di buttarsi sulla destra appoggiando Berlusconi fin da subito e creando il Ccd. Poi, unitosi col Cdu di Rocco Buttiglione dà vita all’Udc (Unione dei Democratici Cristiani e di Centro, dal 2008 Unione di Centro). Da lì, la sua carriera politica spicca il volo: è l’epoca del tridente con Fini e Berlusconi e lui diventa presidente della Camera. Ma, nel 2008, Casini decide di staccarsi da Berlusconi e porsi come riferimento per il centro del futuro. Anni in cui Casini viene considerato sempre come il possibile ago della bilancia. Ogni trattativa passa per lui e la sua visibilità, assicurata dalle continue presenze televisive, cresce. In realtà, lui promette, si fa corteggiare e poi si nega. L’alleanza col Pd non arriverà mai, mentre prosegue la politica dei due forni. La tattica sembra pagare, ma di fatto l’Udc è sempre lì, un 5% di voti che non è poco per un partito sempre più avvertito come espressione elitaria della lobby del mattone, ma alla lunga non può reggere. Il leader sa che deve muoversi e l’occasione sembra materializzarsi con “la salita in campo” di Mario Monti. Come ha ammesso senza reticenze lo stesso Casini: un errore. In realtà è un disastro.
Con Monti, sostenuto entusiasticamente all’insegna della “responsabilità”, Casini dimostra il suo essere ormai un animale da palazzo e di conoscere la vita solo per sentito dire, magari dalle chiacchiere dei salotti buoni della Roma che conta. È convinto che gli italiani voteranno “il professore” e la sua ricetta lacrime e sangue. Non capisce che Monti appartiene ad altre sfere e quando il suo appeal crolla sotto il peso di un Paese stremato e impaurito per le tasse continue, gli esodati, la disoccupazione e tutte le norme capestro volute dall’Europa si fa trascinare a fondo. Riesce per il rotto della cuffia a entrare in Senato, ma ormai Udc e Scelta civica si rinfacciano di tutto.
Il resto è storia di oggi, Scelta civica ha l’1%, l’Udc il 2. L’esperienza di centro è finita. Meglio tornare con Silvio, ma con l’Italicum superare la soglia di sbarramento – anche in coalizione – è difficile. Casini lo sa, quello che vuole, però, è dare una rappresentatività ai suoi voti. Che saranno anche pochi, ma certamente pesanti.
Dopo avere sbandierato per anni la litania della camminata nel deserto con cui avrebbe condotto i suoi tra mille pericoli, ma finalmente liberi da chi voleva soggiogarli al “predellino”, lui, il leader di un centro talmente piccolo da essere ribattezzato “il centrino”, è tornato in ginocchio da Silvio chiedendo l’alleanza. Un riavvicinamento costruito un po’ per volta – dalle prime frasi ammirate per l’inaspettata risalita elettorale del Cavaliere, al tentativo di salvarlo dalla decadenza -, con la pazienza di chi sa che in politica tornare sui propri passi è sempre possibile, a patto di scegliere il momento giusto per far dire ai sondaggi che un centrodestra riunificato potrebbe ancora vincere. Magari di uno o due punti, guarda caso proprio i suoi, certo, quelli dell’Udc.
È l’ultima chance per non morire e Casini lo sa, “Berlusconi tratta gli alleati come un padrone del Settecento trattava gli schiavi (Casini, 28/11/07)”. Ma accetterebbe anche questo pur di tornare ad affermare un giorno: “con noi il centrodestra ha vinto” e subito dopo, mettersi all’opera, concentrandosi sul suo lavoro preferito: battere cassa, politicamente parlando.