I retroscena dietro le dimissioni di Nunzia De Girolamo - Diritto di critica
IL RETROSCENA – Nunzia De Girolamo ha lasciato il ministero per difendere la propria dignità. Il ministro dell”Agricoltura ha abbandonato la poltrona per rispondere allo scandalo che l’ha investita dopo la pubblicazione delle intercettazioni raccolte da Felice Pisapia. Il gesto, in un Paese in cui non si dimette mai nessuno, ha generato stupore. Possibile si sia dimessa senza essere nemmeno indagata? Forse le cose non stanno proprio così. Il pool costituito dalla procura di Benevento, infatti, sta proseguendo l’inchiesta e, secondo indiscrezioni tutte da verificare, ci sarebbe un avviso di garanzia in arrivo proprio per l’ex ministro. I fatti emersi del resto non sono roba da poco.
È lo stesso Felice Pisapia – direttore amministrativo dell’Asl finito ai domiciliari per un giro di fatture false da 700mila euro ed accusato assieme ad altri di truffa aggravata e peculato – a consegnare agli inquirenti le registrazioni fatte con il suo cellulare nelll’intento di dimostrare che le vere responsabilità sono a un livello superiore. Pisapia decide di consegnare una parte delle registrazioni fatte da lui nel 2012 a casa del padre dell’onorevole De Girolamo. È lì che qualcosa di simile al “direttorio politico-partitico”, individuato dal Gip Flavio Cusani, si riunisce. Assieme al direttore dell’Asl ci sono la De Girolamo, all’epoca parlamentare e capo della segreteria provinciale, il suo attuale capo di gabinetto al ministero dell’agricoltura, Giacomo Papa, il suo portavoce Luigi Barone, il manager dell’Asl Michele Rossi e il direttore sanitario Gelsomino Ventucci.
Nove mesi di registrazioni audio, ore e ore di intercettazioni – pubblicate da Il Fatto Quotidiano – da cui emergono interessamenti del ministro su bar degli ospedali, su multe a negozianti amici e sugli appalti del 118, oltre alle nomine dei vertici sanitari locali e all’opportunità o meno di assegnare ai vari comuni adeguate strumentazioni mediche. Finisce sotto i riflettori la gara pubblica d’appalto per il 118 che nelle riunioni si doveva cercare di “bypassare” e alla fine avrebbe premiato un’azienda molto vicina al Pdl locale proprio nel periodo in cui la De Girolamo vinceva il congresso provinciale.
Intercettazioni illegali, forse, ma sufficienti ad abbattere un toro per come la De Girolamo sembra gestisca il potere: discute di poltrone e appalti utilizzando il lessico e la durezza di chi è abituato al comando senza se è senza ma. “Michè scusami al Fatebenefratelli facciamogli capire che un minimo di comando ce l’abbiamo. Mandagli i controlli e vaffanculo“, secondo la ricostruzione con questi metodi il ministro intendeva far assegnare il bar dell’ospedale a suo zio, Franco Liguori, che poi l’otterrà a seguito dello sfratto della precedente gestione (appartenente a suo padre e a suo fratello) e dei controlli dei Nas.
Frasi a dir poco imbarazzanti per l’ex ministro, da cui emerge un’idea a dir poco soggettiva dell’interesse comune. Sui presidi sanitari da localizzare nei comuni della provincia, ad esempio, la De Girolamo non ha dubbi sui criteri di scelta da adottare: “preferisco darlo ad uno del Pd che ci vado a chiedere 100 voti…”. Voti in cambio di strutture e apparecchiature sanitarie necessarie alla popolazione.
Parole che forse (ma potrebbe non essere così) non hanno rilevanza penale, ma pesano come macigni. L’esempio di una politica italiana fatta in casa dei potenti, alla presenza di uno stuolo di amministratori pronti a pendere dalle labbra del capo corrente di zona e ad obbedire in cambio di favori ricevuti e nomine pesanti.
Ufficialmente, almeno per ora, le dimissioni sono dettate dal caso politico più che da quello giudiziario. Una decisione – decisamente tardiva – ma che, a ben vedere, aiuta il traballante governo Letta a fuggire la prova dell’aula sulla mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle. Nunzia decide di dimettersi affermando di non essersi sentita difesa dal governo né dal suo partito. È un eufemismo: è chiaro che la De Girolamo è stata abbandonata al suo destino. A differenza di quanto avvenuto con la potentissima Cancellieri: il giorno in cui ha riferito in Parlamento, accanto alla De Girolamo non c’erano né Letta né Alfano, un particolare non casuale, segno inequivocabile di una netta presa di distanza.
Eppure, strano ma vero, nonostante le recriminazioni, la De Girolamo ha tolto le castagne dal fuoco proprio a chi non l’ha difesa. Dimettendosi ha evitato una spaccatura interna all’alleanza. Ha lasciato in piedi Letta dando ad Alfano la possibilità di occupare, domani, il posto lasciato vacante. Ha evitato a suo marito, il democratico Francesco Boccia – un lettiano di ferro che starebbe traghettando pericolosamente (il disinteresse del premier è un messaggio anche per lui?) verso Il rottamatore -, l’impaccio di difenderla dal nuovo Pd targato Renzi, a sua volta costretto obtorto collo a votare con i grillini. Restando al suo posto avrebbe messo in tensione l’alleanza e favorito il nemico numero uno, Beppe Grillo, che ancora una volta avrebbe potuto puntare il dito sui politici schierati a difesa della casta, o prendersi il merito di aver fatto cadere la politica sannita.
Obiettivamente il gesto lascia poco spazio ad altre interpretazioni: la De Girolamo non poteva fare altro, aveva la strada segnata. Resta da capire se dietro ci sia solo il calcolo politico o anche la percezione che il lavoro della magistratura si stia stringendo attorno a lei. Visto che oltre ai rumors su un possibile avviso di garanzia a suo carico, c’è l’apertura di un’indagine della procura di Roma che ipotizza l’esistenza di una associazione a delinquere creata in seno all’Agea. Si tratta dell’istituto che deve distribuire per conto del ministero dell’Agricoltura i fondi europei (non erogati direttamente dall’Ue) alle aziende. Si tratta di una parte dei fondi Pac, un mare di euro (per i sei anni 2014-2020 all’Italia andranno 44 miliardi ) utilizzato per tenere in vita gran parte della nostra disastrata agricoltura. Su quei soldi da molti anni – anche da molto prima che la De Girolamo sedesse sulla poltrona più alta del dicastero – sarebbero stati sottratti illecitamente milioni di euro, creando un malfunzionamento che potrebbe portare allo stop dei fondi.
Dell’inchiesta si sa che ci sarebbero degli indagati di cui non si conosce ancora il nome. Ora, la Campania risulta tra le aree a cui l’Agea ha concesso di più ed è proprio all’Agea che la De Girolamo ha piazzato uomini di sua fiducia, tra cui spicca il generale della finanza Giovanni Mainolfi, indagato nell’inchiesta sulla P4 e più volte nominato in quella sulla P3 come ” persona vicina ad Alfonso Papa e Pasquale Lombardi”. E sarà un caso ma proprio Lombardi, al centro della famigerata società segreta creata per pilotare appalti e nomine, conosce benissimo il padre dell’ex ministro. Nicola De Girolamo, infatti, è direttore del consorzio agricolo di Benevento del cui consiglio di sorveglianza ha fatto parte lo stesso Lombardi.
Una bella ragnatela di circostanze che potrebbero spiegare meglio le dimissioni “politiche” di Nunzia De Girolamo.
Twitter@virgiliobart
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