Le manovre sottobanco dell'Occidente per riavvicinare Assad
L’ANALISI – E’ passato soltanto un anno da quando Bashar al-Assad sembrava spacciato e la Siria in procinto di cadere in mano ai jihadisti di al-Nusra e fazioni alleate. Il 24 gennaio 2013 era stato trasmesso dalla tv di stato siriana un filmato dato per “diretta tv” dove il Rais appariva in una moschea di Damasco vicino a un suo fedelissimo, Zaino Barri, che risultava però essere stato ucciso mesi prima. Un’incongruenza che portò a tutta una serie di speculazioni da parte di analisti e giornalisti. Furono in diversi a fare paragoni con i filmati delle controfigure di Saddam Hussein durante la seconda guerra del Golfo e ad interpretare il fatto come un chiaro segnale dell’imminente caduta del leader siriano.
Un anno dopo Assad è ancora al potere e notevolmente rafforzato grazie anche alla lotta intestina che ha coinvolto le varie facce della rivolta siriana, con pesantissimi scontri tra varie fazioni di un ormai disgregato Esercito Siriano Libero, i jihadisti di Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico di Iraq e il Levante; quest’ultimo gruppo è stato infatti accusato nel novembre 2013 di aver ucciso il comandante di un altro gruppo di islamisti, Ahrar al-Sham.
Nel gennaio 2014 militanti dell’ELS hanno invece ucciso tre capi dell’ISIL tra cui Emir Saif Haclav, Abu Abdallah al Tunsi e Abu Jallad Hijazzi, mentre altri sono stati arrestati.
RIFORNIMENTI RUSSI
Mentre le forze di opposizione sono occupate a combattere tra loro, Assad riconquista terreno e continua a ricevere sostanziali aiuti dalla Russia. Secondo fonti della Reuters infatti nelle ultime settimane decine di aerei Antonov 124s sarebbero atterrati in Siria per rifornire il regime con mezzi corazzati, droni e missili di vario genere, radar ed apparecchiature elettroniche per la sorveglianza e pezzi di ricambio per elicotteri.
Secondo altre fonti, inoltre, rifornimenti aggiuntivi di armamenti leggeri sarebbero partiti anche da Bulgaria, Romania e Ucraina, dove esistono ancora magazzini con surplus di armi risalenti all’epoca sovietica. La notizia è però stata smentita da rappresentanti governativi dei rispettivi paesi. Altri arrivi sono inoltre stati segnalati nelle ultime settimane nei porti siriani di Tartous e Latakia.
CONTATTI CON I SERVIZI SEGRETI OCCIDENTALI
Un altro elemento di estremo interesse risulta essere il presunto incontro tra esponenti di servizi di intelligence di vari paesi europei e quelli del governo siriano. Secondo alcune fonti i primi a recarsi a Damasco sarebbero stati i britannici dell’MI6 la scorsa estate, seguiti da francesi, tedeschi e spagnoli a novembre.
L’obiettivo degli incontri sarebbe quello di raccogliere il maggior numero di informazioni possibili sui cittadini europei che si sono recati in Siria per combattere a fianco delle fazioni jihadiste e che, una volta rientrati in Europa, potrebbero rappresentare un serio pericolo per la pubblica sicurezza. Anche se non esistono attualmente dati ufficiali, secondo alcune stime sarebbero circa 1700 i jihadisti provenienti dall’Europa, in gran parte da Gran Bretagna, Francia e Belgio ma con un notevole contributo anche da altri paesi come Germania, Spagna, Svezia, Danimarca e Italia. Tra i vari jihadisti provenienti dal nostro paese ci sarebbe anche Anass el-Abboubi, ventenne di origine marocchina trapiantato nel bresciano da quando aveva meno di un anno. Notizia confermata dalla Digos di Brescia.
Tra i 200 e i 400 sarebbero invece i jihadisti provenienti dalle ex repubbliche sovietiche del Caucaso e, in particolare, dalla Cecenia. Vi è infatti una vera e propria brigata caucasica nota anche come “Mujahireen” con al comando un georgiano noto come Abu Omar al-Shishani (Tarkhan Batirashvili).
FATTORE DETERMINANTE: I JIHADISTI STRANIERI
E’ indubbio che in poco più di un anno l’area mediorientale e del Nord Africa è stata caratterizzata da mutamenti estremamente rapidi e consistenti che non possono non aver contribuito al mutamento degli equilibri. Basti pensare alla caduta del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto e la nuova road map che dovrebbe portare il paese verso nuove elezioni democratiche, l’instabilità tunisina, il caos in Libia, la crisi del governo Erdogan in Turchia e l’inaspettata ma non troppo apertura dell’Occidente nei confronti dell’Iran.
Risulta però evidente che un grosso comun denominatore che unisce i vari paesi europei e la Russia è proprio legato al jihadismo e al timore che quei militanti europei che hanno lasciato i propri paesi di provenienza per andare a combattere a fianco delle fazioni radicali possano un giorno decidere di tornare, con tutte le potenziali conseguenze. E’ così dunque che i servizi segreti siriani, da acerrimi nemici e fautori delle peggiori torture ai danni dei civili siriani, sono ora diventati un indispensabile alleato per l’Europa.
Bashar al-Assad lo sa bene e in un’intervista esclusiva alla France-Press, dopo aver fatto dell’ironia sulla possibilità che membri dell’opposizione possano entrare a far parte di un futuro governo, definendola una “bella barzelletta”, ha dichiarato che l’obiettivo principale della conferenza di Ginevra di questa settimana dovrebbe essere la lotta al terrorismo. Il rais ha inoltre ricordato che, nel caso in cui il suo governo dovesse perdere la guerra, il Paese cadrebbe nel caos.
Per l’Occidente, dunque, Assad non è più il pericoloso dittatore senza scrupoli di un anno fa, ma un potenziale quanto scomodo alleato nella lotta al terrorismo di matrice jihadista e un elemento essenziale per la stabilizzazione dell’area mediorientale.
Gli stessi Stati Uniti se ne sono resi conto e, se precedentemente avevano puntato tutto sull’insediamento dei Fratelli Musulmani nei vari Paesi dell’area, ora sembrano improvvisamente aprirsi al blocco sciita siriano-iraniano, con tutte le relative preoccupazioni da parte di Israele e Arabia Saudita.