I giovani sempre più poveri, ecco chi paga veramente la crisi
Sono passati sei anni da quando in piazza nasceva il movimento studentesco dell’Onda. Erano sotto al palazzo del Senato quando per la prima volta si sentì urlare uno slogan che è diventato il simbolo di una generazione: “Noi la crisi non la paghiamo”. Oggi, dopo cinque anni, questo movimento si è squagliato e gli studenti tornano alle solite rituali manifestazioni di un vago dissenso. Ma quello slogan, gridato come un canto da stadio, rimane il simbolo di ciò che sta avvenendo in Italia, dove il reddito medio dei trentenni di oggi è drammaticamente precipitato. Mentre gli anziani sono diventati più ricchi.
I giovani poveri, i vecchi ricchi. Secondo i dati diffusi dalla Banca d’Italia e rielaborati dal Filippo Teoldi per LaVoce.info, dal 1991 ad oggi il reddito medio degli under 35 è diminuito, è rimasto più o meno costante (anche se in decisa flessione negli ultimi anni) quello dei 35-44enni, mentre è cresciuto per gli altri, soprattutto per coloro che oggi si ritrovano nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni, con una retribuzione cresciuta dal 1991 del 30%. Anche gli over 65, cioè quasi esclusivamente pensionati, si ritrovano dopo vent’anni con un reddito più alto del 18%. Tutti dati considerati al netto dell’inflazione.
Chi non paga questa crisi. Quindi, i giovani dell’Onda, molti dei quali oggi, usciti da scuole e università, si stanno confrontando con il mondo del lavoro, questa crisi la pagano eccome. Piuttosto, sono le altre generazioni che, nonostante la retorica dei “pensionati in difficoltà”, questa crisi quasi non la stanno pagando. E, mentre si parla di Imu da cancellare e di pensioni da adeguare, per i giovani non si sta facendo veramente nulla. Ed è inutile che Enrico Letta parli di risultati ottenuti nell’occupazione giovanile: si tratta davvero di una goccia in un oceano di desolazione.
L’ennesima occasione mancata. Con la legge di stabilità si è persa anche questa volta l’occasione per cambiare le cose. Perché oggi più che mai serve redistribuzione che per la prima volta in questo Paese deve essere intergenerazionale. Lo si deve dire ad alta voce, ad alta voce lo devono gridare coloro che guidano questo Paese. Ma non basta la carità di Stato: serve che si creino le condizioni per uscire da questa condizione di minore età perenne. Invece ci si perde in chiacchiere: dalle beghe di partito alla privatizzazione dei mezzi pubblici, passando per i no Tav. Quanto siamo bravi noi italiani nel parlare dei “non-problemi”?
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Sono un over 80 e non mi sono accorto che la mia pensione sia aumentata del 18%!
A me sembra che sia diminuito il mio potere d’acquisto ma… lasciamo perdere.
Mi piacerebbe sapere cosa in concreto si dovrebbe fare per i giovani under 35…..
Come la maggior parte dei miei coetanei, a quell’età lavoravo da vent’anni senza aver avuto la possibilità di conquistare una laurea e sottopagato poichè la retribuzione (come quella di tutti) allora era bassa per dirottarne una parte allo scopo di ricostruire strade, ponti, ferrovie (altro che TAV!) ospedali e… università che poi altri si sono trovati sotto casa.
E non avevamo casa, macchina, ipad, abbigliamento firmato e, soprattutto, la prospettiva pensionistica era peggiore di quella che ora viene temuta. Altro che crisi! Non c’era più nulla.
Si sono rimboccate tante maniche che magari avevano altre aspirazioni, accettati lavori “umili” e…lottato civilmente come cittadini, senza distinzione di età.
Al di là della protesta, ora che si vuol fare?-
L’iPhone oggi i giovani se lo comprano con i soldi dei padri. Di fatto carità intergenerazionale. Quello che serve è una decisa detassazione del lavoro giovanile che comporta riforme che potrebbero far dispiacere pensionati e 50enni. Quei dati che legge non ce li siamo inventati noi, ma la Banca d’Italia, notoriamente non certo un ente di giovani infuriati, ma di 50-60 enni, in via di pensionamento
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