Le accuse di Israele sulla morte di Arafat: "avvelenato dai suoi collaboratori"
La morte di Yasser Arafat potrebbe essere stata causata da un avvelenato con il polonio 210. Lo affermano gli specialisti svizzeri dell’università di Losanna incaricati di analizzare i resti del capo e fondatore dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), morto nel 2004 dopo essere entrato in coma. Gli scienziati del laboratorio hanno trovato nel cadavere di Arafat tracce del veleno altamente radioattivo diciotto volte sopra la norma, con picchi a livello di costole e bacino.
Il polonio è un metalloide altamente radioattivo la cui manipolazione richiede necessari luoghi e strumentazioni adeguate in quanto, benchè non passi attraverso la pelle, l’inalazione o l’ingestione di un solo milligrammo può essere letale. Piccole quantità di questo materiale possono danneggiare in maniera irreversibile tessuti e organi e una volta in circolo è molto difficile da rilevare.
Tutto iniziò il 12 ottobre 2004 quando Arafat si ammalò improvvisamente dopo aver mangiato. Le sue condizioni peggiorarono repentinamente e il 29 ottobre un aereo del governo francese lo trasferì all’ospedale militare di Percy. Arafat entrò in coma e l’11 novembre morì all’età di 75 anni. Ad infittire il giallo, anche la mancata autopsia da parte dei medici francesi, che avviò le speculazioni sull’accaduto.
I dottori non furono inizialmente in grado di stabilire le cause del decesso. Successivamente gli specialisti dell’ospedale militare indicarono come causa della morte l’ictus esteso e la coagulazione intravascolare disseminata, ma non seppero definirne le dinamiche. Dopo nove anni in cui si è soltanto speculato sul possibile assassinio come causa della misteriosa morte del leader palestinese, forse la verità è vicina. Nel luglio 2012, Suha Arafat, la vedova dell’ex leader, ora residente a Malta, aveva inoltrato alla corte francese un’azione giudiziaria contro ignoti per accertare le circostanze della morte del marito.
Nel novembre del 2012 i suoi resti sono stati riesumati da un mausoleo di Ramallah nel sospetto che il leader palestinese fosse stato ucciso dal polonio, sospetto che sembra trovare delle drammatiche conferme negli esiti degli esami. Suha Arafat spiega di sentirsi di nuovo in lutto e rilancia l’accusa di omicidio politico mentre Nabil Shaat, ministro degli Esteri dell’Anp all’epoca della morte di Arafat, afferma di non aver mai nutrito dubbi sull’avvelenamento del suo leader e chiede un’inchiesta per stabilire chi lo abbia avvelenato e in che modo.
Tawfiq al-Tirawi, capo dell’intelligence palestinese, accusa Israele per il probabile avvelenamento, ritenendolo l’unico potenziale sospettato. Ma da Tel Aviv respingono le accuse di al-Tirawi con una dichiarazione di un portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, affermando che non ci sono prove di come è avvenuto l’avvelenamento e ribadisce l’estraneità di Israele. Un consigliere dell’ex premier Ariel Sharon, Raanan Gissin, aggiunge: “C’era allora una decisione del governo israeliano di non toccare Arafat in alcun modo. Se qualcuno lo ha avvelenato era certo allora uno dei suoi collaboratori”.