Nel Paese degli assuefatti - Diritto di critica
Ci stiamo abituando a tutto. Alla politica immobile, alle aziende acquisite da compratori stranieri o – di contro – lasciate morire perché carrozzoni parastatali incapaci di reggere il confronto con il mercato; alla disoccupazione sempre più marcata; a un’informazione che insegue il chiacchiericcio politico senza scendere nel dettaglio dei problemi del Paese.
In questo senso, gli ultimi giorni sono stati paradigmatici: la decadenza di Silvio Berlusconi ha preceduto quasi ovunque le notizie sulle manifestazioni dei lavoratori delle industrie che chiudono i battenti o vivono pesanti difficoltà – vedi, ad esempio, il Gruppo Marcegaglia, Electrolux, Aprilia. E mentre le stime relative alla disoccupazione (quella giovanile ha superato il 40%) crescono di mese in mese, è di oggi il focus del Corsera sugli stipendi altissimi dei dipendenti “della politica”, semplici elettricisti, barbieri o impiegati che guadagnano cifre da capogiro, stipendi che se fossero la norma per ogni cittadino, potrebbero rilanciare l’economia nazionale e far dimenticare lo spettro dell’ultima settimana.
L’esecutivo – di contro – annaspa, cercando di sopravvivere al monotòno berlusconiano della quotidiana minaccia di una crisi di governo, il Paese reale sopravvive, arranca, vive una situazione di mortale assuefazione a notizie ed eventi che raccontano un’Italia ormai da anni impantanata, con forze politiche – vedi il MoVimento 5 Stelle – che promettevano di cambiare la politica, salvo poi rivelarsi del tutto ininfluenti sul lato pratico (al netto degli insulti che fanno notizia forse, ma poco altro).
Se fino a qualche anno fa questo teatrino poteva ancora reggere – dal 2008, anno dell’inizio della crisi economica, si vanno ormai consumando tutte le migliori riserve del Paese – l’Italia rischia adesso di impantanarsi in una palude che non la inghiottirà fatalmente ma nemmeno le permetterà di riemergere. Ad essere immobile è prima di tutto la politica, incapace per le beghe di pochi di mettere in atto riforme fondamentali per la governabilità e quindi per il rilancio dell’economia: manca un timoniere. L’ultimo in ordine di tempo – Berlusconi – ha minato la già fragile credibilità sul fronte internazionale e ha portato alla gestione di un’emergenza non più rinviabile, risolta sull’orlo del baratro con Mario Monti. Il resto è a tutti ben noto: a sinistra nessuno riesce a emergere per guidare con carisma un partito a troppe voci (e non si mascheri l’incapacità da riunione di condominio con la vernice della democrazia), a destra Berlusconi ha fatto di tutto per non dare una successione al partito restando lui l’unica àncora di salvezza dell’ex Pdl, ora Forza Italia. Così come le larghe intese si stanno dimostrando incapaci di reagire.
In questo Paese impantanato stanno annegando le generazioni nate negli anni Ottanta – trentenni anche qualificati che non riescono a inserirsi in un mondo del lavoro ingessato e continuamente orientato al ribasso – con i nonni e i genitori costretti a fare da vero ammortizzatore sociale (si calcola – gli ultimi dati sono di Unimpresa – che i risparmi delle famiglie italiane, nel complesso, ammontino a circa 850 miliardi di euro) per i figli disoccupati.
A fronte di un’Italia sempre più incapace di risollevarsi – nonostante i proclama dei ministri – il bivio è ormai vicino e il rischio è un’esistenza al ribasso, assuefatta alla stasi, con un Paese domato dall’assenza stessa di prospettive.
Twitter @emilioftorsello
Comments