Lavorare in Germania, luci e ombre del miracolo tedesco
Il 22 settembre prossimo 61,8 milioni di tedeschi andranno alle urne per rinnovare il Bundestag, il parlamento federale. Tra i cavalli di battaglia di Angela Merkel c’è la forte riduzione della disoccupazione. Le statistiche non lasciano dubbi: dai 4,1 milioni di persone che nel 2002 erano senza lavoro, oggi il dato si è ridotto a 2,9 milioni. Un successo, almeno in apparenza.
Eppure, dietro questi numeri del tutto positivi, si nasconde un altro dato – diffuso con più parsimonia – e relativo all’aumento dei contratti cosiddetti atipici: interinali e part-time, utilizzati soprattutto per quelli che in Germania vengono chiamati “minijob“.
Secondo un focus pubblicato la settimana scorsa da Die Zeit, infatti, nel 2002 si contavano appena 310mila lavoratori interinali, nel 2012 il loro numero è salito a 820mila: un esercito composto da mezzo milione di persone, tra cui si contano anche lavoratori specializzati che – perso il lavoro – si sono ritrovati a firmare contratti atipici pur di avere un’occupazione. Senza ferie pagate né malattie retribuite. E se da un lato è aumentato il numero degli interinali, secondo il giornale tedesco, solo 250mila corrispondono a nuovi posti di lavoro, per l’altra metà, infatti, si tratta di contratti atipici che hanno sostituito un posto a tempo indeterminato, prima retribuiti con un salario ben più alto e ben altre garanzie.
Ma la riforma che ha rilanciato la Germania – la cosiddetta Agenda 2010 – aveva previsto anche un altro tipo di impiego che avrebbe dovuto essere di natura transitoria – incardinato, com’è ovvio, sui contratti atipici – e sta invece sempre più prendendo piede nel Paese come una soluzione definitiva: il minijob. Un minijob è un impiego retribuito non più di 450 euro al mese, con contributi previdenziali limitati. Oggi in Germania se ne contano oltre 7,5 milioni, concentrati soprattutto nel commercio al dettaglio, nella ristorazione e nelle pulizie. Tutti operatori che non vengono considerati – nonostante la loro esperienza – personale specializzato.
A crescere, dunque, nella Germania che secondo i suoi politici sta sconfiggendo la disoccupazione, sono i contratti part-time e gli atipici, i minijob. “Capita spesso – scrive Die Zeit citando uno studio dell’Iab – che si taglino posti di lavoro regolari per sostituirli con minijob e contratti a tempo parziale”. Una soluzione per ottenere la stessa prestazione lavorativa, risparmiando sulla pelle dei lavortori che possono ormai contare su sempre minori garanzie. Tanto che diversi dipendenti, anche di ditte importanti, affrontano ogni sei mesi l’incognita del rinnovo.
Se da un lato, dunque, nel Paese di Angela Merkel sono in continua decrescita i dati sulla disoccupazione, questo risultato è stato raggiunto con una revisione al ribasso delle tutele contrattuali, dei salari e dei costi per le aziende. Un meccanismo che ha rimesso in moto l’economia ma rischia di diventare il modus operandi di un intero sistema produttivo.
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Condivido in pieno. L’ho vissuto sulle mie spalle. Bisogna però anche dire che questo non rientra nel “modus operandi” tedesco. E’ sicuramente una misura che tende a limitare lo stato di disoccupazione generale. In linea di massima, le medie e grandi aziende tedesche non mirano ad avere lavoratori in “minijob”. Preferiscono avere personale specializzato e competente. Piuttosto, l’unico vero problema per noi italiani che andiamo a lavorare in Germania è rappresentato dalla lingua. Senza un minimo di conoscenza della lingua, gli unici lavori disponibili sono quelli che non richiedono l’uso della “parola”. Lavora e taci, stop. E vi posso garantire che non è il massimo delle aspettative.
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