Ma ora non possiamo lasciare da sola la Siria
Per ora il timore di una nuova guerra si sta allontanando. Se il conflitto siriano prosegue cruento come non mai, il rischio di un suo allargamento con l’intervento degli Stati Uniti e la possibile, seppur limitata, reazione della Russia, sembra per ora scongiurato.
Rischio scongiurato, per ora. Il fermo no di Mosca e Pechino, da sempre contrari all’ingerenza di potenze esterne a conflitti interni, e l’isolamento che Obama sta vivendo tra gli alleati occidentali, hanno spinto gli Usa a più miti consigli. La stessa Francia – che già con l’intervento in Libia ha dimostrato di voler giocare un ruolo di potenza mediterranea di prim’ordine – sembra aver tirato i remi in barca. Non è detto che sia scongiurato un attacco, ma lo spettro di un conflitto su ampia scala appare – ora – francamente improbabile.
Non è una guerra tra il Bene e il Male. Da quanto riferito da Domenico Quirico e quanto emerso da varie testimonianze sul campo, non è affatto certo che chi abbia usato le armi chimiche sia stato Assad. Gli stessi ispettori dell’Onu certificheranno solo l’uso di armi chimiche e non chi le ha impiegate. Forse i ribelli, forse i governativi, forse tutti e due. E soprattutto – e questo gli americani faticano a capire – non si tratta di una guerra tra il bene e il male, ma di uno scontro fratricida che riguarda – e potrebbe investire – tutto il mondo arabo, a partire dalla storica frattura tra sciiti (legati all’Iran) e i sunniti (legati all’Arabia Saudita). E quello siriano potrebbe essere il riflesso del conflitto tra sciiti e sunniti che ha interessato l’Iraq del dopo Saddam. È bastato eliminare un dittatore, per scoperchiare il vaso di Pandora e ingenerare una destabilizzazione che ancora oggi sta facendo sentire forte i suoi effetti.
È nostro compito di occidentali intervenire per fermare il massacro. Quindi, se non possiamo accusare Assad di essere un sanguinoso criminale di guerra, possiamo, anzi dobbiamo dire che Assad ha schiacciato per decenni il proprio popolo e soprattutto dobbiamo ricordare che questa guerra sta provocando centinaia di migliaia di morti, oltre un milione e mezzo di rifugiati (Unhcr) di cui 1, 2 milioni di bambini (Unicef). Di fronte a questo dramma non si può rimanere immobili. Non ci si può lavare le mani dicendo che: “così rischiamo di aiutare Al Qaeda”. È comunque nostro compito cercare di interrompere il massacro. Per questo un NO aprioristico a qualsiasi tipo di intervento non può avere senso. Bisogna intervenire, ma bisogna anche capire come.
In Siria senza petrolio. I no a priori, fomentati da un anti-americanismo pacifista un po’ demodé, non risolvono nulla. Non salvano quei ribelli che lottano per la libertà, non bloccano Assad da una parte e i miliziani sunniti dall’altra. L’intervento militare non può che rimanere come un’opzione tra le tante, ultimo strumento per bloccare il massacro. Non sarebbe un intervento coloniale o neo-coloniale come molti preferiscono definire gli ultimi conflitti in Medioriente. In Siria c’è poco petrolio (ce ne è molto di più in Egitto, dove gli Usa non hanno minimante intenzione di intervenire). Quel petrolio che, tra l’altro, non serve agli Usa che hanno, negli ultimi anni, raggiunto la piena indipendenza energetica attraverso lo shale gas, gas ottenuto dalle argille presenti nel terreno, presenti in grandi quantità nelle campagna statunitensi.
Il gendarme del mondo. Si tratterebbe piuttosto di un intervento nel quale verrebbero perfettamente mixate le spinte interventiste (tanto care ai liberal americani durante la vicenda del Kosovo) al desiderio di ampliare la propria influenza geopolitica ai danni della Russia che possiede proprio in Siria la sua unica base navale nel Mediterraneo.
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