Gas azero in Italia, un flop dietro l'angolo
Il premier Letta vola a Baku in piena semi-crisi di governo per gloriarsi di una mezza rivoluzione energetica: sarà l’Italia a ricevere il gas azero attraverso il gasdotto Tap, a partire dal 2019. Con buona pace per il Nabucco, progetto che privilegia i Balcani e l’Austria come terminal per il gas europeo, alternativa alle forniture russe. Ma Putin non si preoccupa: la mano sul rubinetto europeo ce l’ha ancora lui.
La stretta di mano tra Letta e Aliyev è quasi commovente: il dittatore azero da dieci anni al potere si congratula con un premier a tempo, pacato e spaventato dai malumori degli alleati. Certo, Enrico Letta rappresenta il cliente: quell’Italia (e l’intera Europa Mediterranea) che comprerà il gas naturale dell’Azerbaijan facendo affluire nelle casse di Baku miliardi di euro. E un cliente pacato è l’ospite migliore. Ma se per Aliyev (salito al potere proprio grazie alla compagnia di stato Socar, madrina del progetto Tap) la nuova pipeline è decisiva, per l’Italia cambia poco. Almeno a dar retta ai russi.
Il gasdotto batte il progetto Nabucco, ormai parcheggiato da 4 anni negli studi tecnici. Il tracciato parte da Baku, sul Mar Caspio, attraversa la Georgia e versa il gas nei depositi turchi di Erzurum; poi, dopo un tratto anatolico di circa 2000 km, sbarca in Grecia e punta l’Albania. E da Tirana il balzo verso Lecce è breve: appena 115 chilometri di placido adriatico, un prolungamento da niente. In tutto, il consorzio Tap (dominato da norvegesi, svizzeri, francesi, tedeschi, azeri e non un solo gruppo italiano) dovrà costruire 800 km di condotti e due stazioni di compressione per fornire 10 miliardi di metri cubi l’anno, aumentabili a 20 miliardi in una seconda fase.
E’ poco. Dieci miliardi di metri cubi significano il fabbisogno annuo di 3 milioni di consumatori domestici: meno della stessa popolazione pugliese. La Russia ci manda 63 miliardi di tonnellate l’anno, al netto di quanto consuma l’inaffidabile Ucraina. Putin non sembra affatto preoccupato della concorrenza: secondo i suoi analisti, la domanda europea di gas è troppo bassa per innescare vere corse concorrenziali. E poi va detto: qualsiasi gasdotto che passa a breve distanza dal territorio russo, è automaticamente ricattabile. Non sono più i tempi di Bush Junior, che voleva mettere lo scudo spaziale sulla Russia e proteggere militarmente la “rivoluzione delle rose” a Tbilisi. Oggi Putin può premere su Aliyev, su Nazarbayev o Lukashenko: il suo soft power (e a volte hard power, come dimostra l’invasione della Georgia nel 2008) dirige il mercato del gas da oriente a occidente.
Cosa resta del “successo Letta”? Poco. Il Tap, secondo molti analisti, resterà sulla carta. Se anche dovesse essere completato, andrà a basso regime, differenziando solo di poco l’approvvigionamento di gas europeo: i prezzi non cambieranno sensibilmente. Non per niente Paolo Scaroni, patron dell’Eni, non commenta e non interviene: non vede minacce per i suoi affari, legati tutti all’accordo con Gazprom per South Stream.