Bohly Kayes, un nuovo caso Cucchi?
Bohly Kayes è morto il 6 giugno scorso. Il giorno prima la Corte d’Assise aveva reso noto il verdetto di primo grado sul caso di Stefano Cucchi: condannati i medici, assolti gli infermieri e le guardie penitenziarie. Le analogie tra i due, però, vanno oltre la mera coincidenza temporale di due eventi scollegati. La vicenda di Kayes, un tunisino di 36 anni morto poco dopo essere stato arrestato per spaccio, ricorda molto quella del giovane romano deceduto in ospedale, dove si trovava in custodia cautelare, dopo un calvario durato giorni.
L’arresto. Kayes è stato arrestato il 6 giugno nell’ambito di un operazione antidroga messa a punto dai carabinieri di Riva Ligure all’interno di un supermercato. Il ragazzo tunisino, che aveva già precedenti con la giustizia, è stato raggiunto dalle forze dell’ordine dopo un breve tentativo di fuga. Addosso aveva alcuni grammi di cocaina. Ma al momento del fermo qualcosa è andato storto, e poche ore dopo il pusher è morto, lasciando a casa moglie e due figli, di 8 e 4 anni. Ed è stata proprio la donna a sollevare le prime ombre sul decesso del marito, avvenuto ufficialmente alle 20,30 di sera ma di cui è stata avvertita solo la mattina seguente.
L’autopsia. A confermare i sospetti ci ha pensato, qualche giorno fa, l’autopsia richiesta dalla procura. Kayes è deceduto per asfissia provocata da una forte pressione sulla cassa toracica. Prima è sopravvenuta la morte celebrale, poi quella fisica. Secondo le testimonianze dei carabinieri, l’uomo si è sentito male all’arrivo in caserma ed è stato chiesto l’intervento del 118, che però non ha potuto fare altro che constatare il decesso. Qualcosa, quindi, è accaduto durante l’arresto e la magistratura dovrà fare chiarezza. Ad oggi i tre carabinieri che hanno effettuato l’operazione risultano indagati per omicidio colposo, mentre nessun procedimento pende sulla testa dell’uomo che li ha aiutati a raggiungere il fuggitivo, afferrandolo per le caviglie.
Le parole del PM. Quando sono stati resi noti i risultati dell’esame autoptico, Roberto Cavallone, il pm che ha in mano le redini dell’accusa, ha usato parole pesanti. “Di questa morte lo Stato deve farsi carico”, ha detto, “Si tratterà di un brutto processo”. L’ennesimo “brutto processo”, verrebbe da aggiungere, dopo quelli di Cucchi e Aldrovandi, solo per citare i casi più noti. Il pubblico ministero non sembra avere dubbi: Kayes è morto per un uso eccessivo della forza da parte dei carabinieri, probabilmente nel tentativo di bloccarlo, e non perchè caduto durante la fuga. L’ipotesi al vaglio, comunque, è quella di reato colposo. Il dolo, quindi, per ora è escluso, anche se nei giorni scorsi ha sollevato molte polemiche il giallo di una foto che, secondo indiscrezioni di stampa, sarebbe apparsa per qualche ora su facebook. Lo scatto avrebbe immortalato il corpo senza vita di Kayes e sarebbe stato messo online da un carabinire di Riva Ligure con una didascalia eloquente: “Ecco come hanno massacrato il tunisino”. Della foto, però, non c’è traccia, ed in procura dichiarano di non saperne nulla. Le indagini, quindi, proseguono sul loro binario, e Cavallone ha rivolto un appello a chiunque abbia assistito all’arresto, affinchè si faccia avanti per testimoniare. Un modo per arrivare più rapidamente all’accertamento della verità. D’altronde”, ha sottolineato il pm, “la vita è sacra e quando un cittadino, italiano o straniero, è nella disponibilità delle istituzioni, la sua integrità fisica deve essere assolutamente tutelata”. Parole che è facile condividere.