Lavorare per 2 euro l'ora, lo scandalo di un call center siciliano
Due o tre euro all’ora. Questo era il misero guadagno di 37 lavoratori di un call center siciliano. Qualcuno non ce l’ha fatta più e ha denunciato il tutto, sotto anonimato. Dieci o 15 euro al giorno, tutto in nero. Con lo “stipendio” versato su carte ricaricabili che ogni lavoratore è stato costretto ad attivare.
Un vero sfruttamento. È bastato un blitz della Guardia di Finanza e dell’ispettorato del lavoro per far emergere un vero e proprio sfruttamento dei lavoratori, costretti ad accettare retribuzioni da fame e varie vessazioni (solo 15 minuti di pausa per cinque ore di lavoro al telefono) perché “meglio un lavoro così che essere disoccupati”. A farne le spese non solo giovani lavoratori ma anche cinquantenni costretti ad accettare un impiego così per riuscire a sbarcare il lunario.
Peggio degli schiavi. I centralisti sembra fossero controllati con le telecamere. La piccola pausa caffè era gestita con una campanella (qualcosa che ricorda vagamente la ricreazione scolastica), mentre l’atteggiamento dei responsabili era sempre molto fiscale e brusco. Secondo i lavoratori del call center, i responsabili chiedevano loro di mentire al telefono per cercare di facilitare la vendita dei depuratori d’acqua, core business della “Water World Italia”, società che si avvaleva dei lavoratori di questo call center. Gli stessi lanciano un appello: “Denunciate chi vi sfrutta. Anche a noi quello stipendio ci faceva comodo ma non è più possibile sopportare certi ricatti per un posto di lavoro”.
Flessibilità e flessibilità. In Italia sempre più imprese ricorrono a contratti flessibili. Spesso la scelta è imposta dalla crisi, considerando che assumere un lavoratore a tempo indeterminato ha costi che spesso per l’impresa non sono sostenibili. Ma in altri casi, si tratta di un vero e proprio sfruttamento soprattutto dei giovani lavoratori, una gara al ribasso, una letale lotta tra poveri causata dal bisogno di lavorare.