Sand Creek, la strage dei nativi americani chiede giustizia
Scritto da Francesco Rossi
La strage di Sand Creek torna a far parlare di sé, 150 anni dopo. Si tratta di una delle ferite più dolorose della storia americana: l’uccisione di oltre 160 indiani da parte delle truppe federali, guidate dal comandante John Chivington. A renderla nuovamente attuale è la richiesta di risarcimento che gli eredi di quegli uomini e di quelle donne hanno avanzato al Governo di Washington.
La storia. Il 29 novembre del 1864 resta una delle date più cupe della storia americana. E’ la data della strage del fiume Sand Creek, in Colorado. Sono gli anni in cui gli Stati Uniti d’America si stanno espandendo verso ovest, annettendo al governo federale nuovi territori. A muovere la popolazione è la corsa all’oro, che punta verso le Montagne Rocciose, oltre alla voglia di dar vita ad una grande e potente nazione. Lungo questo cammino, gli indiani nativi sono un ostacolo che va rimosso con decisione. In Colorado, la lotta alle tribù dei Cheyenne e degli Arapaho viene affidata al colonnello John Chivington, che nel 1861 ottiene la firma del trattato di Fort Wise con cui gli indiani accettano di cedere le loro terre a Washington e di trasferirsi in una riserva a sud del fiume Sand Creek. In sostanza: una resa incondizionata. A Chivington, però, non basta, ed il il 29 novembre 1864 sferra un attacco inatteso ed ingiustificato, che rimarrà, nei decenni, un simbolo di inaudita ferocia. In poche ore, oltre 160 indiani vengono torturati ed uccisi, e sono in prevalenza donne, bambini ed anziani, disarmati ed arrendevoli.
Il risarcimento mai arrivato. La strage di Sand Creek venne immediatamente stigmatizzata anche dal Governo di Washington, che già nel 1866 arrivò a promettere il risarcimento dei danni subiti ai parenti delle vittime. Quasi 150 anni dopo, però, quel risarcimento non è ancora arrivato. Per questo motivo, qualche giorno fa, quattro discendenti degli indiani uccisi dalle truppe federali hanno presentato, alla Corte Distrettuale di Denver, un ricorso volto ad ottenere i soldi promessi. L’obiettivo è trasformare la domanda in una vera e propria class action, radunando il maggior numero possibile di eredi delle tribù martoriate, che si stimano essere circa 15 mila.
Un’etnia ai margini. La richiesta di risarcimento, il riemergere del ricordo di Sand Creek, il dibattito che ne è seguito, dimostrano come il rapporto tra gli Stati Uniti e le popolazioni indiane che abitavano l’america prima della colonizzazione sia ancora complicato. I nativi sono rimasti un corpo estraneo all’interno della società statunitense. Sono pochi (se ne stimano circa 1 milione e mezzo), vivono per lo più nelle riserve (il 70%) e non sono integrati quasi per niente nel tessuto sociale. Nei loro confronti la maggioranza degli americani nutre ancora forti pregiudizi, alimentando così gli stereotipi che li descrivono come “selvaggi” caratterizzati da aggressività, pigrizia e scarsa cultura. Oggi quella dei nativi indiani è una popolazione schiacciata da una doppia sofferenza. Da una parte, la non integrazione li condanna alla povertà e all’emarginazione. Dall’altra, tutte le proposte di percorsi di inserimento passano fatalmente per la cancellazione e l’abbandono della loro identità culturale, delle loro tradizioni, e si rivelano, quindi, inefficaci e controproducenti. Ecco perché, nonostante siano passati 150 anni, Sand Creek è ancora un simbolo che brucia.