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Diritto di critica | November 13, 2024

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Italia-Kazakistan, gli interessi italiani dietro il rimpatrio della famiglia Ablyazov

Berlusconi in KazakistanRoba da Guerra Fredda. Roba di spie, personaggi misteriosi e rapimenti. È la notte tra il 29 e 30 maggio quando alle porte di Roma, nella frazione di Casal Palocco, una cinquantina di uomini vestiti di scuro, forse della Digos, circondano una villetta. Dentro ci sono due persone: la moglie e la figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov.

Dal blitz al Cie. “Chiedo asilo politico”. È la richiesta di Alma Shalabayeva, alla vista dei poliziotti. Lo ha chiesto in inglese (a quanto risulta dalla ricostruzione fatta dalla stessa donna), ma nessuno sembra o abbia voglia di capire. Il suo passaporto appare falso o per lo meno falsificato. Viene prelevata e condotta ad un Cie. Secondo la Questura, infatti, il passaporto riporta il nome di Alma Ayan (cognome da nubile), rilasciato dalla Repubblica Centrafricana. Presso il Cie la donna con la sua bambina di sei anni vengono identificate per l’intervento dell’ambasciata kazaka che le ha riconosciute come cittadine kazake (la comunicazione è però misteriosamente scomparsa).

Espulsione immediata. La legge italiana prevede che per cittadini extracomunitari o presunti tali, si proceda prima all’accertamento della cittadinanza. Se la presenza sul territorio italiano risulta irregolare, si dovrebbe procedere con il foglio di via, un documento che intima l’allontanamento volontario dal territorio italiano. Se ciò non avviene il Stato può procedere con l’espulsione forzata. La Shalabayeva ha chiesto prima asilo politico – pratica che viene avviata quando il rimpatrio può mettere in pericolo la vita o l’incolumità del richiedente asilo – e poi ha chiesto semplicemente di rispettare la legge italiana, cioè di allontanarsi volontariamente verso un altro paese. Ma la sera del 30 maggio la donna viene portata all’aeroporto romano di Ciampino e imbarcata su un volo privato noleggiato dallo stesso dittatore kazako.

Le pressioni kazake. Dell’assurda vicenda ora si sta occupando la Magistratura e lo stesso presidente del Consiglio Enrico Letta. Dagli ultimi elementi emersi sembra che sia stato lo stesso ambasciatore kazako a tempestare di telefonate il Ministero dell’Interno italiano (pare che abbia chiesto anche di parlare con Angelino Alfano, ma senza risultati) affinché la polizia italiana fosse intervenuta per arrestare Ablyazov. Ma il dissidente non è presente in quella casa (è probabilmente a Londra dove gode di asilo politico). Così la polizia italiana può fermare solo la moglie che non è accusata di alcun reato.

Gli interessi di Eni e le amicizie di Berlusconi. Ma chi ha dato l’ordine di effettuare questa quanto meno anomala operazione internazionale? Poiché l’operazione è avvenuta in ore di interregno sul ponte di comando della polizia (si stava per insediare il nuovo capo della Polizia Pansa), l’ordine non poteva che provenire direttamente dal Ministero dell’Interno guidato da Angelino Alfano. Che l’Italia abbia enormi interessi in Kazakistan è oramai noto ai più. Si tratta di importanti e strategici investimenti che l’Eni ha fatto per accaparrarsi giacimenti nel paese asiatico. Ma pochi ricordano anche che Silvio Berlusconi ha stretti rapporti con lo stesso dittatore kazako Nursultan Nazarbaev, addirittura nominato Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana. I sospetti che tutta l’operazione sia stata condotta per compiacersi il governo di Astana crescono sempre di più. Con buona pace della credibilità internazionale del nostro Paese.

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