Europa, l'Italia discrimina i lavoratori disabili
L’Italia si è beccata l’ennesima condanna in sede europea. Stavolta la Corte di Giustizia ha bocciato la normativa nazionale che disciplina l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro. Secondo l’organismo comunitario la legge italiana è discriminatoria ed inefficace. La condanna trova un’indiretta conferma nei dati diffusi dall’Organizzazione Internazionale per il Lavoro, secondo cui, nel nostro paese, le persone con disabilità che hanno un impiego sono solo il 16% del totale.
La direttiva disattesa. Le norme italiane che dovrebbero favorire l’ingresso dei disabili nel mondo del lavoro sono da riscrivere, ed in breve tempo. A dirlo è la Corte di Giustizia Europea, che ha così accolto il ricorso presentato dalla Commissione UE contro il nostro paese. All’Italia è stato contestato il mancato rispetto della direttiva comunitaria emanata nel 2000 e riguardante la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Il testo impegnava gli Stati ad introdurre nei loro ordinamenti norme in grado di costringere i datori di lavoro ad assumere persone con disabilità, garantendogli adeguate condizioni di impiego. Il tutto senza far gravare sugli stessi imprenditori oneri eccessivi. Ma l’Italia non si è mai adeguata davvero a queste indicazioni. Ora, però, dovrà farlo, se non vuole incappare in una procedura di infrazione e in pesanti multe.
Barriere normative ed architettoniche. Secondo i rilievi della Corte di Giustizia, il principale difetto delle leggi italiane in materia è che non tutti i datori di lavoro sono ugualmente obbligati ad assumere personale attingendo dalle categorie protette. In molti casi l’introduzione di precisi doveri in tal senso è rimessa all’iniziativa degli enti locali, mediante accordi siglati con singole aziende o settori produttivi. E questo causa un sensibile squilibrio geografico. In più, anche quando le assunzioni avvengono, le persone con disabilità vanno incontro ad ulteriori discriminazioni. Molto spesso, ad esempio, la presenza di ostacoli fisici o logistici impedisce loro il corretto svolgimento dell’attività professionale, come nel caso di uffici poco attrezzati per accoglierli o orari di lavoro non flessibili. C’è poi il problema dei salari, più bassi di quelli dei colleghi (anche fino al 20% in meno), e delle minori opportunità di carriera. E’ evidente, quindi, che l’Italia è ancora una nazione piena di barriere, normative ed architettoniche.
Un’occasione mancata. Il risultato è che una cospicua fetta di cittadini si ritrova tagliata fuori dalla vita del paese. Qualche settimana fa un rapporto dell’Organizzazione Internazionale per il Lavoro ha collocato il nostro paese molto indietro nelle politiche di integrazione. Secondo i dati, in Italia solo 300mila persone con disabilità hanno un impiego, ovvero il 16% del totale. Mentre, stando alle stime della CGIL, altri 730 mila sarebbero inseriti nelle liste di collocamento obbligatorie. Il tasso di occupazione di questa particolare categoria di persone, quindi, è anni luce lontano da quello calcolato sull’intera popolazione. E non si tratta solo di una sconfitta sociale, ma anche economica. In questo modo infatti, sempre secondo l’ILO, si finisce per perdere una forza lavoro che potrebbe valere fino al 7% del Pil. Un tesoro, soprattutto in tempi di crisi e scarsa crescita.