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Diritto di critica | November 5, 2024

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Caso Snowden, Washington è sola e senza voce

Prima Hong Kong ha lasciato partire Snowden senza ostacoli, poi Mosca lo ha protetto dalla richiesta di estradizione. Al momento il gola profonda della più grande violazione di privacy della storia americana è ospite invisibile di Putin, che ha anche fatto trapelare un finto volo a Cuba per depistare i servizi segreti Usa. Se l’America centrale (dal Venezuela di Maduro alla Cuba di Castro), la Russia e la Cina si mettono in mezzo, cosa tenterà Obama? L’omicidio politico a distanza?

La lunga fuga. Edward Snowden ha amici altolocati. Dopo aver diffuso il Wikileaks sulla violazione della privacy di milioni di cittadini americani da parte dell’agenzia governativa Nsa, il novello Davide si è rifugiato ad Hong Kong, ha fatto il suo “appello alla libertà e alla trasparenza” e si è imbarcato per Mosca. Nè l’isola cinese nè tantomeno il Cremlino si sono opposti: anzi, accampando scuse abbastanza inverosimili (un errore tecnico dell’impiegato d’aeroporto, uno smarrimento all’interno dello scalo moscovita di Sheremetyevo), entrambi i regimi lo hanno protetto da Washington. Il passo successivo, in teoria, sarebbe dovuto essere il volo a Cuba di Snowden, annunciato dalla segretaria di Julian Assange Sarah Wilkinson (ora “guida” di Snowden). Ma sul volo si sono imbarcati solo giornalisti, con gran scorno dell’intelligence.

Un fallimento diplomatico.  Obama non ha la forza contrattuale, in questo frangente, per farsi consegnare Snowden. Xi Jinping, presidente cinese, ha avuto la faccia tosta di promettere a Barack di occuparsene personalmente, per poi lasciar cadere tutto con un “errore tecnico imprevisto”. Vladimir Putin ha detto che “valuterà la richiesta di arresto” di Washington, ma che “tecnicamente non è in suolo russo”. Nessuno vuole aiutare il collega Obama, ormai in braghe di tela. Mosca e Pechino possono fare la voce grossa quanto vogliono. Putin ha in mano la carta della Siria (il benestare ad un intervento Nato a Damasco non è pensabile senza l’approvazione di Vladimir Vladimirovich), JinPing fa leva sulla carta iraniana e sul ricatto economico (svalutazione del dollaro a portata di mano). Entrambi giocano per recuperare peso e mettere nell’angolo Obama. Ci stanno riuscendo.

Il fronte “Wikileaks”. Julian Assange ed Edward Snowden, che lo sappiano o no, sono pedine. Il fronte anti-americano, guidato dai Brics e spalleggiato dai regimi del Mar dei Caraibi, li sfrutta per ribaltare il braccio di ferro diplomatico con cui Washington domina il mondo da vent’anni. Ma, per quanto si illudano, la sconfitta morale degli Usa non significa la vittoria della “libertà e della trasparenza”: semmai il contrario.

L’alternativa “violenta” di Obama. Il presidente americano ha una carta, come tutti i suoi predecessori, pericolosa e conclusiva: la forza. Potrebbe far rapire Snowden con un’azione da swat al suo arrivo in Ecuador, o in Islanda, o appena mette piede fuori dall’area passeggeri dell’aeroporto di Mosca. O, se questo è troppo difficile, può colpirlo con un omicidio politico. Diplomaticamente, un fallimento drammatico. Per la credibilità della Casa Bianca, una prova di forza con cui ribadire chi è – almeno per il momento – la prima potenza militare del mondo. Dalla padella alla brace.

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