Turchia, Erdogan tenta pugno di ferro ma Taksim resiste
La guerriglia di Ghezi Park spacca a metà la Turchia. In Piazza Taksim i blindati della polizia sparano acqua urticante e proiettili di gomma contro i pochi “terroristi” che osano raggrupparsi. La protesta avanza ad Ankara, dove la polizia deve contenere cortei sempre più numerosi. Ad Istanbul, invece, Erdogan cerca il bagno di folla di fan per delegittimare il movimento ribelle. Lo scontro è ormai ideologico, tra la dittatura progressista del premier e la pretesa di democrazia della piazza.
Bollettini di Guerra. Un weekend di violenza incontrollata da parte della polizia turca. Il pugno di ferro di Erdogan funziona: nessun cittadino riesce ad entrare in Piazza Taksim. Proiettili di gomma sparati ad altezza uomo hanno già causato decine di feriti, gli idranti urticanti (secondo gli attivisti, si tratta di Jenix, un agente chimico venduto in Turchia a polizia, gendarmeria ed esercito) provocano piaghe e ulcere sulla pelle. Una quarantina di medici sono stati arrestati per aver soccorso i manifestanti feriti, lo stesso per i (pochi) giornalisti sul campo.
Terroristi, dicono loro. Il clima di violenza è stato confermato dal governatore di Istanbul, che ha dichiarato: “chiunque entrerà in Piazza Taksim verrà considerato membro di un’associazione terroristica e come tale trattato”. All’aeroporto Ataturk sono intanto sbarcati altri 350 poliziotti antisommossa per rafforzare i cordoni e il controllo sulla zona di Galata.
Un bagno di folla per Erdogan. La battaglia è anche mediatica. Dopo giorni di controllo massiccio sull’informazione interna, il Governo cerca di ribaltare l’immagine della protesta: non sono tanti cittadini che protestano, ma pochi terroristi eterodiretti. In particolare, si punta il dito contro Londra e i suoi media generalisti (BBC, CNN e Reuters) accusati di distorcere i fatti. Per dimostrare che Istanbul sta dalla parte del Governo, il partito Akp di Erdogan ha organizzato ieri un maxi-comizio per sè: un bagno da un milione di sostenitori – a giudizio degli organizzatori – una parte dei quali trasportati via bus e via treno sul posto dal resto del Paese.
Ankara, la capitale si ribella. Ma Erdogan deve stare attento, Istanbul non è l’unico campo di battaglia. Nella capitale Ankara la protesta cresce, le richieste di dimissioni si moltiplicano. In zona Kizilay e Ataturk Bulvari, i cortei si susseguono a intervalli di poche ore: l’area dei palazzi governativi resiste solo grazie a lacrimogeni, cariche della polizia e idranti. Il rischio per i manifestanti è che Erdogan reprima la rivolta nel sangue (e i tre morti della scorsa settimana rendono l’ipotesi tutt’altro che astratta): ma Erdogan stesso rischia di ritrovarsi con un Paese spaccato, diviso e pronto a ribaltarlo – con o senza elezioni.