Afghanistan, italiani rimarranno dopo il 2015
Due attentati contro truppe italiane in Afghanistan, nel giro di 10 giorni. Cresce la pressione taliban sui nostri uomini: perché? A Bruxelles la risposta. Il nostro ministro della Difesa ha già assicurato a Washington e al Comando Nato che accetta la missione “Resolute Support”, dal 2015 in poi, dopo il ritiro americano. Altro che ritiro immediato: in Afghanistan gli italiani ci resteranno ancora per anni. Senza una votazione parlamentare, con scarsi risultati pratici e 53 vittime in 8 anni.
Il capitano La Rosa, ucciso domenica 9 giugno in provincia di Farah (sud-ovest del Paese), è la vittima più recente dell’insorgenza taliban. Il 28 maggio un’altro attentato kamikaze aveva colpito un convoglio italiano, ferendo due militari trapanesi. La pressione sta salendo: un comunicato taliban minaccia direttamente il comando italiano, specificando che gli attacchi continueranno.
Perché? La pressione sta salendo sulle nostre truppe, ora più esposte degli altri, senza che sul terreno sia effettivamente cambiato qualcosa. Il 5 giugno, a Bruxelles, il vertice dei ministri della Difesa coinvolti nella missione Isaf in Afghanistan ha disegnato il “post-ritiro”: una nuova missione, per ridurre le truppe impegnate a Kabul, con meno uomini e meno spese.
A volere la nuova missione “leggera“, chiamata “Resolute Support”, è soprattutto Washington, che ha bisogno più che mai di ritirare i suoi uomini nel 2014 (almeno il grosso delle truppe). Il ministro della Difesa Chuck Hagel è stato quindi ben contento di lodare Berlino e Roma, che hanno accettato di rimanere sul terreno nelle stesse zone d’intervento attuali. Berlino ha chiarito – con approvazione del Parlamento – che rimarranno circa 600-800 soldati tedeschi nella regione Nord; l’Italia manterrà le sue truppe a ovest, tra Herat e Farah, dove già oggi combatte. Non ci sono numeri, ma avremo la responsabilità di “leader” della missione: tanto pochi non potranno essere. E diventiamo così il primo bersaglio dei taliban nell’ovest.
Non lo sapeva nessuno. Il Parlamento non è stato coinvolto in questa decisione. Il ministro della Difesa Mauro ha dato l’ok a nome del governo Letta, senza discussioni alla Camera: un silenzio che contrasta con le interpellanze parlamentari di M5S e Sel, che hanno chiesto un piano dettagliato sul ritiro dei 3mila soldati della missione Isaf. In teoria, il ritorno dovrebbe avvenire entro la fine del 2014, ma non esiste nessun calendario di rientro.
Nuove missioni, zero titoli. E’ fondamentale rivedere il senso stesso delle missioni in Afghanistan. Dopo dodici anni di guerra – tre mesi di invasione e 11 anni di occupazione più o meno soft – l’Afghanistan non è più sicuro o più democratico di prima. Hamid Karzai, per due volte presidente dello Stato, sta ora lasciando il testimone a suo fratello maggiore, Quayum: il clan Karzai continua il suo doppio gioco tra taliban e occidentali, mantenendo il potere su Kabul e qualche città e lasciando a warlord locali la gestione (feudale) del resto del Paese. Mentre continuano ad esplodere ordigni Ied sulle strade, check point più o meno taliban taglieggiano i camionisti, bande armate riscuotono il pizzo ai villaggi e alle piantagioni di oppio sempre più fiorenti. Se la missione Isaf è fallita, quale senso verrà dato alla missione “Resolute Support”?