La primavera di sangue dell'Iraq dimenticato - Diritto di critica
Maggio di sangue in Iraq con più di 500 morti; secondo gli ultimi dati le persone che hanno perso la vita a causa di attentati sono almeno 534 e più di 1300 i feriti, un triste primato del mese più sanguinoso da inizio anno. Anche il mese di aprile era stato segnato da continui massacri con più di 400 morti e quasi mille feriti; ma ormai di Iraq si sente parlare poco, un paese apparentemente dimenticato che continua a soffrire e a sanguinare.
Nella giornata di martedì diversi attentati hanno colpito la capitale, Baghdad; una bomba è esplosa all’interno di un autobus nel quartiere settentrionale sciita di Sadr City, uccidendo sei persone e ferendone una trentina. Sempre a nord della capitale, a Tarmiyah, un kamikaze ha fatto saltare in aria una macchina, uccidendo sul colpo quattro persone e ferendone una dozzina. A Tikrit e Kirkuk i terroristi hanno invece aperto il fuoco contro alcuni uomini dell’unità “Sahwa”, composta da sunniti e creata per contrastare al-Qaeda in Iraq: tre morti e due feriti. A Mosul una bomba ha ucciso il tenente colonnello Faris al-Rashidi, dell’intelligence della polizia; feriti anche tre agenti. Lunedì scorso, invece, un’altra ondata di violenza aveva colpito principalmente le aree sciite della capitale, uccidendo 58 persone e ferendone quasi duecento.
L’Iraq sta cadendo in un pericoloso baratro. La minoranza sunnita accusa il governo sciita del premier al-Maliki di bersagliare sistematicamente la loro comunità con numerosi arresti e precludendo loro l’accesso a posti di potere. Lo scorso dicembre ci sono state violente proteste da parte dei sunniti e il governo ha risposto liberando alcuni detenuti e alzando gli stipendi dei membri dell’unità “Sahwa”; misure chiaramente insufficienti a placare l’ira della minoranza.
A fine di aprile le forze governative irachene hanno attaccato un sito a Hawija, nel nord del paese; nell’assalto sono rimasti uccisi dozzine di manifestanti sunniti.
Inutile la condanna del premier al-Mailiki: “coloro che bersagliano moschee e altri siti sono nemici dei sunniti e degli sciiti”.
L’Iraq è da tempo entrato in una spirale di violenza difficile da placare, un “tutti contro tutti” che rischia di trascinare il Paese verso una guerra civile non priva di interesse da parte di elementi esterni come Iran, Turchia e mondo arabo sunnita. Uno scenario per certi aspetti simile a quello siriano, ma forse ancor più complesso: sciiti e sunniti che si scontrano per l’egemonia del paese; al-Qaeda in Iraq con l’aspirazione di creare un utopico “Stato islamico del Levante” con l’annessione della Siria; in aggiunta le popolazioni curde del nord che rivendicano il possesso dei siti petroliferi della zona di Kirkuk. Di recente, inoltre, sarebbe stato stipulato un accordo tra l’esecutivo turco e il governo regionale curdo per quanto riguarda l’esportazione di petrolio verso la Turchia ; una mossa non gradita da Baghdad in quanto rischia di incoraggiare anche le popolazioni sciite delle zone del sud, ricche di petrolio, a cercare potenziali accordi autonomi, minando così gli interessi del governo centrale e una presunta unità del paese che stenta però da tempo a concretizzarsi.