Fondiaria-Sai, i pm accusano: ''Isvap coprì Ligresti''
di Francesco Rossi
I pm di Milano e Torino ne sono convinti: qualcuno, ai vertici dell’Isvap (oggi Ivass, organo di vigilanza delle assicurazioni) ha coperto, per anni, la famiglia Ligresti. Lo ha fatto fingendo di non vedere le decine di manovre finanziarie dissennate che hanno portato la compagnia Fondiaria-Sai sull’orlo del fallimento. Eppure gli indizi c’erano fin dal 2008, ma tutto rimase sotto la sabbia. Solo dal 2011 la magistratura ha messo sotto i riflettori le “relazioni pericolose” tra Ligresti e Giannini, allora Presidente Isvap.
Le indagini insabbiate. Un esempio per tutti sulla gestione di Fondiaria-Sai, compagnia assicurativa del clan Ligresti portata oggi sull’orlo del fallimento. Nel 2008, un impiegato (attuario) Isvap, in sede di controlli contabili, rilevò anomalie nelle “riserve sinistri” (i soldi che le assicurazioni accantonano per futuri risarcimenti). Era un “trucco” per coprire buchi di bilancio. Sarebbe dovuta partire un’ispezione immediata, ma così non fu. Le verifiche vennero fatte solo nel 2011, a crisi conclamata, e fecero emergere una voragine di quasi mezzo miliardo. Da qui la decisione della magistratura di indagare i rapporti tra Salvatore Ligresti e Giancarlo Giannini, allora Presidente Isvap.
La scalata. Eventuali connivenze non stupirebbero. Tutto l’impero Ligresti è frutto di un capitalismo clientelare. L’epopea di Salvatore, classe 1932, origini siciliane, inizia nella Milano degli anni ’60, in pieno boom economico: fiuta l’affare immobiliare e in poco tempo diventa un costruttore affermato. Negli anni ’80, il salto di qualità: grazie ad amicizie influenti (Craxi, Berlusconi, Cuccia) entra nel salotto buono di Mediobanca. Diventa “Mister 5%”, emblema di quel capitalismo all’italiana che, con piccole partecipazioni, controlla grandi imperi. Con le sue holding (Premafin, Imco, Sinergia), mette lo zampino in Pirelli, Generali, Unicredit, RCS. Ed introduce nel dorato mondo della finanza anche i tre figli: Paolo, Jonella e Giulia. Non lo ferma neanche Tangentopoli: patteggia 2 anni e 4 mesi per corruzione e tira dritto. L’apice lo raggiunge nel 2002, quando la sua SAI (Sociatà Assicurativa Industriale) incorpora “La Fondiaria”, dando vita a Fondiaria-Sai, secondo polo assicurativo in Italia.
Il crack. Nel tempo la gestione del gruppo finanziario si fa sempre più irresponsabile, come dimostrano le carte processuali. I Ligresti trattano le aziende come casseforti personali. Oltre ad incassare dividendi milionari come azionisti, si fanno pagare stipendi faraonici per le cariche societarie che ricoprono (8,3 milioni nel solo 2010, quando Fonsai accusava quasi un miliardo di passivo), unitamente a stock options e benefit vari. Non basta: pagano ai manager di fiducia buonuscite da capogiro (10 milioni a Marchionni, ex AD di Fonsai, sempre nel 2010) e compiono decine di operazioni tra le aziende del gruppo per truccare i bilanci ed intascare altro denaro. Vanno avanti così, indisturbati, fino al 2010. Poi il giocattolo si rompe. In 6 mesi Fonsai necessita di due ricapitalizzazioni, per complessivi 1,2 miliardi; a Milano Assicurazioni servono 350 milioni. E’ il crack e i Ligresti devono arrendersi: Imco e Sinergia (immobiliare) falliscono, Premafin, Fonsai e Milano Assicurazioni vengono rilevate da Unipol, ed entro il 2014 verranno fuse nella nuova Unipol-Sai.
Alla luce di tutto ciò il sospetto dei magistrati milanesi è più che lecito. Come è possibile che né Isvap né Consob abbiano avuto niente da ridire su operazioni così opache? Dieci anni di silenzio (complice?) hanno contribuito a mandare in fumo miliardi, ridurre allo stremo aziende strategiche e soprattutto polverizzare i risparmi di migliaia di cittadini. Capirci qualcosa è necessario.