Il Pd a Roma candida una ragazza autistica. Ma è giusto?
Non potrà produrre norme, scrivere emendamenti, partecipare in modo del tutto consapevole alle sedute che – anzi – se troppo chiassose o accese potrebbero provocarle anche una crisi. Eppure il Partito democratico l’ha candidata. Chiara Ferraro, di 22 anni, autistica, corre come consigliere comunale nella lista Marino. Se dovesse essere eletta, spiega il padre, sarà lui a farle da tutor.
A questo punto una domanda si impone: è opportuno candidare una ragazza affetta da una malattia psichica grave come l’autismo al consiglio comunale di Roma? Secondo il padre sì. Maurizio Ferraro, 61 anni, promette di prendersi cura di lei come già fa e di seguirla durante i lavori in Comune. Eppure, i giornali riportano una condizione che appare incompatibile con la vita politica caotica del governo della Capitale. Su diversi siti e quotidiani, a quanto ci risulta non smentiti, infatti, si legge che Chiara non parla quasi mai, al massimo canticchia versi di Domenico Modugno, ed è soggetta a crisi epilettiche forti e improvvise.
Tra gli scettici, anche il giornalista Gianluca Nicoletti che tutti i giorni si prende cura del figlio autistico. In un’intervista, infatti, spiega che della candidatura “non ne capisco il senso, non mi sembra questa la strada giusta per creare una sensibilità generale sull’autismo: l’autistico non è un santino che porti in giro, non è un’icona, non è un simbolo. Non ci servono i martiri dell’autismo, non capisco perché esporlo in questo modo”. E prosegue: “Io credo che scelte simili vadano fatte secondo metodologie più attente alla persona e allo stesso messaggio che si dà”. “Mi domando – dice – quale sia il punto di arrivo a cui si vuole giungere: forse quello di affermare che un autistico è in grado di svolgere una funzione pubblica? Di fare il politico? No, ovviamente no, perché un autistico non è in grado di farlo. E se serve un tutore, allora tanto valeva che si candidasse direttamente lui. Se le persone non sono capaci di rappresentare le proprie istanze non devono essere messe in primo piano”.
Il dubbio, infatti, è che le persone affette da patologie gravi come l’autismo dovrebbero essere rappresentati da qualcuno in grado di battersi e argomentare e scrivere leggi ad hoc con consapevolezza e competenza. Qualcuno che sappia battersi per loro. In questo senso, il padre della ragazza promette di starle sempre accanto. Ma allora perché non si è candidato lui?
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Perché non si è candidato lui? Perché non sarebbe stata la prima candidatura di un parente di persona disabile. E’ facile interagire e avere a che fare con i genitori e con le loro richieste, facendo orecchie da mercante quando queste danno fastidio. Ben più complesso sarebbe ignorare le richieste di Chiara (e dei ragazzi come lei) se i suoi problemi e le sue necessità venissero poste di fronte all’intero Consiglio comunale. Bisogna smetter di pensare che un ragazzo con autismo vada lasciato al di fuori della società e delle istituzioni: a suo modo, la presenza di Chiara in Comune sarà ben più utile alla sua causa che quella del suo tutore. La questione è molto complessa è merita un approfondimento e una riflessione ben superiore alla bocciatura presente in quest’editoriale.
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Ormai siamo governati da ritardati.
Tanto vale candidare direttamente dei ritardati, no?
Insomma, almeno hai la garanzia che chi ti governa non è poi tanto diverso da quello che hai votato: un ritardato.
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