"La grande bellezza", La Roma vuota e barocca di Sorrentino
L’essenza de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino (in concorso a Cannes) è già visibile nei primi quindici minuti del film: il silenzio di una Roma assolata, vuota, di una lirica bellezza si alterna al frastuono della festa di compleanno del protagonista, lo spumeggiante e cinico giornalista di costume Jep Gambardella. Quindici minuti potenti, spudorati, che ci sbattono in faccia la pochezza e la vacuità del jet set romano e dei personaggi che lo animano. A ritmo della dance più scatenata la cinepresa ci conduce in ogni angolo del party, e l’effetto è devastante: siamo dentro la festa e ne spiamo la volgarità e i sorrisi perduti, ma allo stesso tempo è come se percepissimo il tutto da un acquario, o alla tv cui è stato tolto l’audio.
Sorrentino, come già accaduto con “This must be the place”, mette in secondo piano la narrazione a favore di un ritratto vivido e spietato della Roma più mondana e frivola, teatro di vita del giornalista magistralmente interpretato da Toni Servillo. Un uomo che vive di notte e nel suo peregrinare tra un drink e una festa “inciampa” nell’umanità più variegata. Il jet set visto dal regista è un mondo cafone popolato da nobili decaduti, attricette e registi falliti (come l’autore teatrale interpretato da Carlo Verdone), ex personaggi della televisione in balia di droga e botulino e ricche donne annoiate che trascorrono le serate sul terrazzo vista Colosseo di Gambardella, chiacchierando del nulla. Un mondo amaro e sostanzialmente infelice del quale il protagonista è conscio (“è tutto un trucco”) e che lo porta, alla soglia dei 65 anni, a riflettere sul suo passato di romanziere e sul grande amore di gioventù. Filo conduttore la vita e la morte, il silenzio e il rumore, i rimpianti e i vizi, le debolezze umane sulle quali Sorrentino non formula un giudizio, ma propone solo in parte un riscatto.
Sullo sfondo della scena, una Roma decadente, bellissima ed altera, parte attiva del film e testimone della miseria di chi la abita. Il personaggio di Servillo la percorre con indolenza e malinconico rimpianto: vicoli, lungofiume, palazzi e giardini preziosi, monumenti. Ad ogni passo, un incontro. Ad ogni incontro, frammenti di vita che si incrociano. «Non c’è stato nei luoghi uno cercare specifico – ha detto il regista in conferenza stampa al Festival di Cannes – mi sono lasciato guidare dalla meraviglia che ancora provo a vedere Roma, una città che sa sorprendermi sempre».
Azzeccata la colonna sonora, pregevole la fotografia. Ogni inquadratura è un raffinato gioco di colori e geometrie, quasi un omaggio all’arte e all’immaginazione. “La grande bellezza” è un bel film italiano: «Qualcuno pensava che questa storia all’estero non potesse essere capita, invece ci sono state più critiche positive fuori dall’Italia. Il cinema italiano dovrebbe essere più grande, ma è un peccato che venga criticato a priori, è ricco di attori e registi bravissimi».
La “grande bellezza” ricercata da Gambardella è ovunque e da nessuna parte, e potrebbe essere, in fondo, quella di ognuno di noi: “È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura […] Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”.
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Giunti alla seconda festa, quella sul terrazzo di Gambardella, il film poteva tranquillamente finire, ne avremmo guadagnato tutti, film compreso. A quel punto tutto è già stato detto, il resto non fa che appesantire un’opera già di per sè esageratamente ambiziosa.
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Un grande film dove c’è lo spaccato della nostra vita. Ognuno può ritrovarsi nel film. La grande bellezza e’ la sintesi dei valori della vita che si apprezzano purtroppo solo troppo tardi, quando non si ha piu’ la voglia di portare avanti nuovi progetti, ho la vita dissoluta condotta ci ha svuotato di tutto e non si ha piu niente da dire
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è un film che non può trovare consenso unanime. manca una trama o meglio una trama usuale, ma ha qualcosa in più che spinge lo spettatore a riflessioni di natura esistenziale.
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