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Diritto di critica | November 25, 2024

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L'età senza speranza. Crisi e giovani secondo Némirovsky

L’età senza speranza: i giovani e la crisi secondo Irène Némirovsky

nemirovskyLA RECENSIONE – La crisi economica è quella degli anni Trenta. I giovani vivono ai margini, si arrabattano con i mestieri più umili, raccattano quanto di meglio riescono a trovare e si fanno bastare i pochi spiccioli che guadagnano, spesso vivono ancora a casa con i propri genitori. Gli unici a non patire la recessione sono i politici e la lotta di Palazzo è tutta concentrata a ottenere la rielezione a deputato.

Se non fosse per il dato cronologico, il romanzo “La preda” di Irène Némirovsky (morta appena 39enne nel campo di concentramento di Auschwitz), edito per i tipi Adelphi, sarebbe una trasposizione fedele della condizione della società odierna.

Il protagonista è Jean-Luc, un ragazzo di belle speranze innamorato della figlia del ricco banchiere Sarlat, Edith. Preso nel gorgo di una vita costellata di difficoltà economiche così forti da impedire qualsiasi movimento di vita alla famiglia e dopo aver scoperto il matrimonio combinato tra Edith e un giovane dell’alta borghesia, Jean-Luc capisce che l’unica via per costruirsi un’esistenza degna di tale nome è entrare in politica. Non importa come, è essenziale stare lì dove qualsiasi decisione sembra risultare facile – basta una parola – dove i rapporti umani sono tutti importanti e funzionali. Ma anche falsi. E soprattutto dove il denaro smette di essere un problema. Il romanzo altro non è che l’ascesa e il declino di un personaggio che di sé stesso dirà di non essere mai stato felice.

“Cos’altro offriva ai giovani il mondo di quegli anni? – scrive la Némirovsky raccontando l’epoca a lei contemporanea – Non c’era lavoro, non c’erano ambizioni, ancorché modeste, realizzabili, tutto era immobile. Restava solo questo… La crudele e fredda passione di far carriera, camuffata con ogni sorta di nomi e di etichette ideologiche.
“E io?”, pensò Jean-Luc.
Il mondo come lui, come tutti loro, aveva sognato di dominare non gli era mai parso tanto inaccessibile”.

Quale soluzione, dunque? Entrare in politica. Immischiarsi al potere per poterne gestire una minima parte e di quella sopravvivere. Superare in furbizia, astuzia e prontezza gli amici o – peggio – dimenticarli per strada, sconfiggerli sul campo per restare sempre più soli nella corsa. Oppure nella vita.

Quello di Némirovsky è un romanzo crudele sull’impossibilità di vincere in un mondo che – ciclicamente – sconfigge chiunque, un sistema ben oliato per cui il potere dura poco, lo spazio di un illusione, il tempo di essere sbattuti di nuovo per strada, nella povertà. Crocifiggendo la propria serenità, Jean-Luc smette progressivamente di “sentire”, di provare sentimenti, compassione, tronca di netto qualsiasi relazione con gli altri esseri umani che non sia funzionale alla carriera: l’incubo è tornare in quel nulla, preda di una crisi economica che porterà suo fratello Josè a bussare più volte alla sua porta, quasi elemosinando.

La fine del romanzo è tragica. In un mondo immobile, nemmeno i migliori possono sopravvivere. E i sentimenti, quei sentimenti tanto bistrattati dal protagonista, si rivelano forse l’unica àncora di salvezza da sempre rifiutata, convinto di riuscire a non affogare terrorizzato nel mare plumbeo della solitudine e della politica.

Ma nella crisi economica raccontata dalla Némirovsky non c’è spazio per alcun vincitore. L’unica soluzione è ritagliarsi un angolo, un nido, un cantuccio caldo di povertà e sopravvivenza in cui costruire esistenze vicine. Oppure – e due dei protagonisti sceglieranno questa opzione – espatriare, fuggire, abbandonare il Paese e l’Europa.

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