Italia come la Bulgaria, spaccata e in crisi
La più povera nazione d’Europa, crisi economica alle stelle, cittadini piegati da tasse e costo dell’energia: la Bulgaria torna alla ribalta con un voto discusso e inconcludente, che la lascia ingovernabile. Sofia è sola di fronte all’Europa sempre più lontana, e rischia di diventare il modello negativo dell’Unione. E un monito diretto per l’Italia.
Borisov, crisi economica e corruzione. Il 20 febbraio è caduto il Governo del partito conservatore Gerb, guidato dal premier Boyko Borisov. Un personaggio molto discusso per i suoi legami con la mafia bulgara e per le sue storie di corruzione interna tutt’ora sotto inchiesta. Avrebbe infatti usato una legge-truffa sulle privatizzazioni per concedere, in cambio di mazzette, il monopolio per l’energia elettrica all’azienda CZE, che conta nel suo direttivo esponenti mafiosi. Ai giornali sono arrivate le intercettazioni di diverse telefonate tra i vertici dell’azienda e il premier, che non lasciano grande spazio ai dubbi.
La protesta. La protesta è esplosa in febbraio, quando la bolletta elettrica media dei cittadini bulgari è raddoppiata rispetto al 2012. Una scintilla che ha fatto deflagrare anni di malcontento per la crescente crisi economica del Paese, precipitato secondo l’Ocse all’ultimo posto dell’Unione europea per reddito pro capite (il salario medio è pari a 400 euro mensili). Le parole d’ordine “corruzione”, “mafia”, “tasse” hanno attraversato piazze gremite da una folla senza precedenti, dispersa più volte dalla polizia a manganellate e idranti.
Ma comunque ritorna. Borysov si è dimesso il 20 febbraio, si è ritirato dal governo ad interim e si è concentrato sulla campagna elettorale. Il 12 maggio, giorno del voto, arriva la sorpresa: il partito Gerb vince le elezioni di misura, con il 30,4% dei voti. I socialisti non sono andati oltre il 27%, mentre l’ultradestra Ataka e il partito europeista (centro) hanno preso il 9 e il 7,5%. Sostanzialmente, il Paese si è spaccato: un terzo ha difeso il “povero” Borysov, vittima di un complotto. Un altro terzo (o quasi) lo ha condannato come corrotto e mafioso; il restante terzo degli indecisi si è diviso tra l’ultranazionalismo e un europeismo velleitario.
Bulgaria chiama Italia. Il parallelo con il voto italiano di febbraio è inevitabile. Se il bulgaro B(orisov) si sostituisce al milanese B(erlusconi), l’equazione appare identica: i socialisti e il Pd ricalcano lo stesso profilo, Beppe Grillo come voto di protesta incarna le due spinte antitetiche tra Ataka e “rossi”. E la spaccatura tra garantisti e giustizialisti (su storie di corruzione e conflitto d’interessi) non può non ricordare le “toghe rosse” e la “guerra dei vent’anni” di Berlusconi. Come dire: i presupposti per l’analogia ci sono tutti. Sta ora all’Italia dimostrare che Sofia – con la sua crisi, le sue piazze di protesta, le sue mafie e le sue corruzioni – è molto lontana.