Commissioni e veleni, la giornata dei redivivi - Diritto di critica
Alla fine Francesco Nitto Palma non ce l’ha fatta a diventare presidente della commissione Giustizia del Senato. Per due volte, il nome scelto per ricoprire l’incarico che più preme a Silvio Berlusconi non ha raggiunto la maggioranza. Alla Camera il Pd ha avuto la presidenza di otto commissioni permanenti, al Pdl ne sono andate cinque ed una è andata a Scelta civica. Mentre al Senato i democratici hanno ottenuto sette presidenze, il Pdl sei e Scelta civica una.
(a fine articolo i nomi delle Commissioni Parlamentari)
Ma il colpo di scena della giornata è arrivato nella votazione più attesa, quella per la commissione Giustizia, dove Francesco Nitto Palma è caduto per mano – sembra – dei franchi tiratori. Schifani e Gasparri hanno duramente criticato il Pd rimarcandone due difetti emersi già al momento della scelta del Capo dello Stato: l’inaffidabilità e la mancanza di disciplina di partito. Chiaro che il Pdl tenda a stigmatizzare quelli che appaiono ultimamente come due connotati del Pd, il tradimento sistematico degli accordi stretti e l’anarchia interna.
Resta tutto da vedere ciò che accadrà oggi. Le circostanze per un altro giallo d’autore ci sono tutte. Il voto è segreto e basterà la maggioranza semplice. Comunque vada al partitone di Enrico Letta non sarà facile recuperare quello che in termini di elettorato e credibilità è andato perduto con questo governo politico e di grandi intese. Anzi, la scelta di non votare Nitto Palma – condividendo tanti altri nomi – è solo l’ennesimo sintomo delle contraddizioni interne ad una parte politica che avanza imperterrita verso l’autodistruzione.
Dalla nascita dell’esecutivo dell’inciucio alla scelta dei ministri, passando per i sottosegretari e finendo con i presidenti delle commissioni parlamentari, il Pdl, da solo, è risalito al 30%. Basterebbe questo e la gioia con cui tutti, compresi i democratici, seguono il calo nei sondaggi del M5S, per rendere conto della miopia con cui un esecutivo, non scelto dagli italiani ma dalla partitocrazia, veleggia nel mare della politica italiana agitato dalla crisi.
Inutile dire che se Grillo non si fosse impuntato, in nome di una coerenza fine a sé stessa, nel non voler sfruttare, con la duttilità del politico, l’occasione di tenere Bersani in pugno (votandogli la fiducia e togliendogliela a piacimento), staremmo a parlare di un’altra storia e magari non ci sarebbe Berlusconi a tirare le redini in groppa al “giovane” Letta.
Ma da qui a sostenere che il governo attuale sia il frutto delle scelte di Grillo ce ne corre. Di scelte – una volta eletto Napolitano – ce ne erano diverse, a ben vedere. Ma la decisione, alla fine, è sempre una. Si è deciso di ricreare l’alleanza tra i partiti che avevano sorretto Monti, ma stavolta rendendola organica senza delegarla a tecnici o ad esperti terzi. Si è scelto di ammantare il tutto con una bella verniciata di fresco, con ministri anagraficamente d’ultima generazione e politicamente non troppo usurati. Vernice che poi si è via via iniziata a scrostare, prima con viceministri e sottosegretari scelti tra i big in crisi da poltrona mancata e poi nelle commissioni, con il ritorno della vecchia guardia.
Cosa pensa la dirigenza democratica di alcuni nomi? Come pensa che la base dell’Occupy Pd possa digerire l’arrampicatore della politica Capezzone, passato da radicale antiberlusconiano a portavoce del Cavaliere? L’urlatore Elio Vito, un disturbatore conosciuto per essere uno capace di togliere la parola a chiunque durante un talk show, alla commissione Finanze? Potranno tollerare l’odiato e pluri inquisito Roberto Formigoni all’Agricoltura? L’ex fratello P2 Cicchitto agli affari Costituzionali? Due alfieri del berlusconismo come Sacconi al Lavoro e Galan alla cultura? Oppure La Russa alle autorizzazioni a procedere? Come potranno, dopo aver schivato Romani, considerare un successo Matteoli alle Telecomunicazioni?
Non si riesce a comprendere come questo governo in cui il Pd è esposto con un nome come quello di Letta – bipartisan per antonomasia e per merito del potentissimo zio Gianni – pensi di tirarsi fuori dalla morsa con cui verrà costretto a seguire le volontà di Silvio Berlusconi, a sottostare ai suoi sbalzi d’umore, magari derivanti da una sentenza sfavorevole tra quelle che incombono.
Ultima citazione della giornata dedicata a immortali e redivivi. È il caso del leader Udc Casini a capo della commissione Esteri. Avrà come segretario, Antonio Razzi, l’ex dipietrista e fine oratore che salvò Berlusconi dopo l’addio di Fini.
I Nomi delle Commissioni
Camera: la commissione Affari costituzionali va a Francesco Paolo Sisto (Pdl), la commissione Esteri a Fabrizio Cicchitto (Pdl), la commissione Difesa a Elio Vito(Pdl), la commissione Bilancio a Francesco Boccia (Pd), la commissione Finanze a Daniele Capezzone (Pdl), la commissione Cultura a Giancarlo Galan (Pdl), la commissione Ambiente a Ermete Realacci (Pd), commissione Agricoltura a Luca Sani (Pd), la commissione Trasporti a Michele Meta (Pd), la commissione Attività produttive a Guglielmo Epifani (Pd), la commissione Lavoro a Cesare Damiano (Pd), la commissione Affari sociali a Pier Paolo Vargiu (Scelta civica), la, la commissione Politiche Ue a Michele Bordo (Pd), la commissione Giustizia a Donatella Ferranti (Pd).
Senato: la commissione Affari costituzionali va ad Anna Finocchiaro (Pd), la commissione Esteri a Pier Ferdinando Casini (Sc), la commissione Difesa a Nicola Latorre (Pd), la commissione Bilancio a Antonio Azzollini (Pdl), la commissione Finanze a Mauro Marino (Pd), la commissione Cultura ad Andrea Marcucci (Pd), la commissione Ambiente a Giuseppe Marinello (Pdl), la commissione Lavori Pubblici e Telecomunicazioni ad Altero Matteoli (Pdl), la commissione Agricoltura a Roberto Formigoni (Pdl), la commissione Industria a Massimo Mucchetti (Pd), la commissione Lavoro a Maurizio Sacconi (Pdl), la commissione Sanità a Emilia De Biase (Pd). Da decidere la presidenza della commissione Politiche Ue, per la quale è in ballo Vannino Chiti (Pd).
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