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Diritto di critica | December 26, 2024

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Bersani sbaglia tutto e spacca il partito

BersaniUna follia collettiva. È lo psicodramma che si è consumato ieri nel Pd. Pier Luigi Bersani ha provato in ogni modo a far eleggere Franco Marini ma è stato lo stesso partito a girargli le spalle. Frutto di un “inciucio” con il Pdl, l’accordo sul nome dell’ex sindacalista cattolico non ha fatto altro che spaccare il Pd già molto provato dalle tensioni interne.

Le spaccature del Pd. Nel Partito democratico, in realtà, le spaccature sono più di una. La più visibile è quella provocata dal nome di Matteo Renzi. Ma poi ce ne sono altre, connesse anche ad un problema di ricambio generazionale. Infatti, solo un osservatore poco attento può ritenere che nel Pd si stia ripetendo una divisione lungo quella linea che ne ha permesso la formazione, cioè quella linea di contatto tra i Ds e la Margherita. Prima di tutto perché Franco Marini è stato fondatore della Margherita ed ex popolare ma viene appoggiato da Bersani e D’Alema, cioè l’espressione più ortodossa della linea social-democratica del partito, quella dei Ds. In secondo luogo perché gli stessi ex della Margherita provano un odio quasi viscerale nei confronti di Matteo Renzi cattolico e popolare: ad iniziare da Rosy Bindi, per finire allo stesso Marini.

C’è un limite all’inciucio. A tutto ciò si è aggiunto ieri un altro elemento: per la prima volta i Giovani turchi e i renziani si sono schierati insieme contro il segretario Bersani. Un fatto inusuale visto che lo stesso Stefano Fassina fosse titubante mentre molti “iscritti” tra le fila dei giovani turchi – tra i quali Matteo Orfini – si sono rifiutati di mandare al Colle un uomo di 80 anni, bocciato alle ultime elezioni nella sua circoscrizione abruzzese e “figlio” di un accordo con Silvio Berlusconi il quale sarebbe pronto a dare il via libera a Bersani di formare un governo in cambio di un posto da senatore a vita.

Il fallimento completo di Bersani. C’è un limite a tutto, soprattutto dopo le recentissime elezioni di febbraio che hanno mostrato che l’aria –come dice Beppe Grillo – è cambiata. Solo Bersani e D’Alema pare non se ne siano accorti. Così, il segretario, a testa bassa, ha proseguito per la sua strada, convinto magari di strappare l’elezione di Marini e di mettere a tacere i renziani, senza accorgersi che quasi due terzi di partito avrebbe votato contro la scelta dell’ex popolare. Mentre fuori qualche buontempone del Popolo Viola e dell’Idv inscenava il rogo delle tessere del Pd, dando l’immagine – non poi tanto lontana dalla realtà – di una base democratica inferocita. “Mi hanno fatto un assist clamoroso”, è stato il commento a caldo di Renzi. E pensare che sarebbe bastato ascoltare il disagio dei parlamentari e della base. Si voleva spaccare il MoVimento, ma alla fine il nome di Stefano Rodotà e le aperture dei “dialoganti” di M5S hanno finito per mandare in frantumi il Pd.

Bersani verso le dimissioni? Ora è probabile che l’intesa con Berlusconi salti. A quel punto si andrà presto ad elezioni anticipate visto che, a meno di una convergenza sul nome di Rodotà dopo un eventuale fallimento di Romano Prodi, un governo Pd non potrà nascere. A quel punto Bersani sarà fuori dai giochi dopo aver sbagliato tutto: dalla non-campagna elettorale all’accordo con Berlusconi, passando per l’ “inseguimento” al MoVimento 5 Stelle. A guidare la transizione un giovane “moderato” come Pippo Civati che potrebbe prendere il posto di Bersani alla guida del partito, lasciando via libera a Renzi per la leadership del centro-sinistra.

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