Angela e l’utopia della flessibilità lavorativa - Diritto di critica
“Mi hanno raccontato che in alcuni paesi all’estero è possibile lasciare un lavoro e trovarne un altro dopo pochissimi giorni. Sarebbe bellissimo se fosse possibile anche qui.” Angela lo dice non con dispiacere ma con occhi pieni di speranza. Lo sguardo è lo stesso dei bambini quando sentono raccontare una bella favola nella quale cercano di immedesimarsi.
Angela ha 29 anni. Come tanti altri precari o disoccupati ha una laurea con il massimo dei voti, un master e un immancabile stage seguito da alcune brevi esperienze lavorative. Combatte costantemente con la scadenza dei contratti e i lunghi mesi di disoccupazione. Le sue giornate sono sempre piene ma allo stesso tempo anche incredibilmente vuote. “La sera si va sempre a dormire con quella sensazione di non aver fatto abbastanza. Nella testa mille pensieri e possibili soluzioni. Ma le settimane passano così, davanti ad un computer leggendo annunci di lavoro e mandando e cv”. Angela è già la seconda volta che ricomincia tutto da capo. Sperava che quei contratti a progetto e stage scritti sul suo CV avrebbero reso più semplice la ricerca di un nuovo lavoro una volta scaduto il contratto e invece ora sembra sia anche più difficile. “Mentre cerco una nuova occupazione sono costretta a mantenermi con quei lavoretti che una volta si facevano mentre si studiava. Dalle ripetizione al babysitting, dalla commessa alla cameriera. Sembra che la mia vita lavorativa anziché crescere regredisca”.
Di fronte ad una situazione così difficile e frustrante l’idea di fuggire e cercare nuove opportunità all’estero è sempre presente nella sua testa; un vero e proprio piano B. “Io ho rinunciato all’idea di un posto fisso ma la flessibilità doveva essere il compromesso con lo Stato per trovare lavoro e invece? Nulla è cambiato se non addirittura peggiorato. Vago per l’Ikea pensando a quando riuscirò ad avere una casa tutta mia e se ci riuscirò mai. Perché è tanto difficile? Dopo tutti i sacrifici che sono stati fatti. Non mi arrendo ma a volte è davvero difficile non abbattersi”.
In Italia il concetto di flessibilità è stato importato dimenticando di prevedere tutti quegli accorgimenti e normative necessarie per evitare che fosse solo un modo per i datori di lavoro per approfittarsene. La flessibilità comporta un continuo mutamento del lavoro con la conseguente possibilità di crescere e migliorare le proprie competenze. Ma come è possibile immaginare una simile situazione in un Paese dove già trovare un lavoro anche non qualificato è un’impresa? Come dare alle persone veramente la possibilità di crescere se la breve durata dei contratti permette a malapena di imparare a svolgere il lavoro?