Bridgestone, chiusura non più irrevocabile, c'è speranza
Sono serviti due vertici ministeriali con le parti aziendali e quasi un mese di boicottaggio dei prodotti, ma qualcosa si sta muovendo. La Bridgestone ha rinunciato alla “irrevocabilità” della decisione di chiudere l’impianto di Bari, dove lavorano 950 operai. Un centro d’eccellenza che dà l’avoro ad un indotto di quasi 5mila persone, ma che rischia la delocalizzazione in Polonia. Dietro gli annunci ci sarebbe un abbozzo di accordo da 140 milioni di euro: tutto da dimostrare.
Torneranno a riunirsi il 5 aprile i protagonisti della vertenza Bridgestone, con in mano qualche proposta e molta paura. Il ministero dello Sviluppo Economico è pronto a stanziare fino a 140 milioni di euro per garantire una riduzione dei costi dell’energia, della flessibilità del lavoro e nei trasporti: sarebbero questi, secondo i capi di Bridgestone Europe, i nodi da sciogliere per rimanere in Italia “con profitto”. Problemi non facili, ammettono il sindaco di Bari Michele Emiliano e il governatore della Puglia Nichi Vendola, ma “lo sblocco della situazione dà speranza”. Vedremo.
Il boicottaggio. A far cambiare la decisione di Bridgestone (se è cambiata davvero), ha pesato anche il boicottaggio di prodotti della fabbrica. Una campagna internazionale di discredito e invito a rifiutare i pneumatici Bridgestone, lanciata congiuntamente dal Comune di Bari e dalla Regione Puglia, per spingere l’azienda ad accettare la trattativa. Se non fosse giunto l’ok ieri, il comitato era pronto a chiedere a tutti i parlamentari pugliesi di portare la spilletta Boycott Bridgestone sulla giacca al momento dell’insediamento a Montecitorio, previsto per la prossima settimana. Per ora è tutto rimandato.
Il dubbio. Resta però un dubbio, nel cuore dei 250 operai di ritorno da Roma a Bari sui pullman del sindacato: che la Bridgestone stia mentendo. La delocalizzazione in Polonia è voce insistente nella fabbrica, suffragata dalla riduzione progressiva delle linee produttive e dallo smantellamento di alcuni macchinari di livello specialistico. Proprio questi, secondo indiscrezioni, sarebbero già stati montati a Poznan per spostare definitivamente la produzione. “Vogliono sfruttare la manodopera a minor costo e la vicinanza ai mercati dell’Europa dell’est”, dicono rassegnati molti operai. Vedremo il 5 aprile e nei prossimi mesi se alle scuse e agli annunci seguirà qualcosa di concreto
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