Attività minerarie illegali, la nuova fonte di finanziamento (e divisione) delle FARC
di Marco Luigi Cimminella
Un’organizzazione lacerata, viziosa, viziata da ingordi appetiti finanziari. Questa è l’immagine delle FARC che trasmette Alexander García Villega, che ha combattuto nelle sue fila per circa ventidue anni, prima di consegnarsi spontaneamente alle Forze Armate regolari nell’area rurale di San José del Guavire. Con lui sono già 13 i capi militari del gruppo armato che si sono arresi alle autorità governative: quest’ultime, per incentivare la smobilitazione, offrono aiuti economici, servizi sociali, istruzione al fine di consentire alle unità combattenti che si sono arrese, una graduale e completa reintegrazione nella società civile.
Villega, alias Caracho, era il terzo capo del settimo fronte delle FARC. Fra il 2005 e il 2009 aveva combattuto sotto gli ordini di Jorge Briceño Suárez, conosciuto come “Mono Jojoy”, leader militare dell’organizzazione rivoluzionaria, morto nel 2010 in un attacco aereo che distrusse il bunker dove era nascosto, nel territorio del La Macarena. Dopo la sua morte, sostiene Villega, il movimento guerrigliero ha subito una profonda frammentazione nella sua struttura interna e nella gerarchia di comando: una divisione alimentata soprattutto da motivazione economiche. Segnatamente, continua Caracho, i diversi capi dell’organizzazione hanno cercato di conseguire l’indipendenza politica: un modo per appropriarsi di quelle risorse materiali che le FARC destinano alla realizzazione della Rivoluzione armata.
Le finanze contese
Per molto tempo i fondi per la guerriglia sono pervenuti da attività come il narcotraffico e i sequestri a scopo di estorsione. Tuttavia, in questi ultimi anni la situazione sembra stia mutando velocemente. Non solo le forze della sinistra rivoluzionaria, ma anche le bande paramilitari e la mafia colombiana hanno individuato nell’attività mineraria illegale una fonte di approvvigionamento molto più redditizia. Il Centro Studi Internazionale Toledo ha calcolato infatti che, in otto provincie colombiane su trentadue, l’estrazione di metalli preziosi, soprattutto oro, ha sostituito la coltivazione della coca come principale fonte di finanziamento di questi gruppi. La produzione di droga si è infatti ridotta del 72% dal 2001, posizionando la Colombia dietro i suoi vicini andini: Bolivia e Perù.
Gli attori invischiati in questo tipo di commercio hanno valutato i numerosi vantaggi offerti dall’economia mineraria illegale rispetto alle attività più tradizionali. In primo luogo, il prezzo crescente dell’oro sul mercato mondiale, che si è conservato alto nell’ambito di una scoraggiante crisi finanziaria internazionale.
Secondariamente, gli sforzi del governo sono stati orientati a sradicare il narcotraffico considerato destabilizzante e pericoloso per la sicurezza nazionale ed emisferica: iconico in questo senso è stato il controverso e discusso Plan Colombia, pensato e implementato in collaborazione con Washington. Diversamente, una piccola miniera è più facile da occultare, soprattutto se si considera il fatto che su quasi metà del territorio nazionale non giunge il controllo della autorità centrali. Allo stesso tempo, la commistione fra legalità e criminalità è tanto profonda che spesso è difficile individuare una netta linea di demarcazione fra le due sfere. Più specificatamente, alcuni testimoni dichiarano che diverse imprese legittime versano una quota degli introiti a gruppi criminali e guerriglieri, ma è spesso difficile distinguere se si tratti di estorsioni o accordi precedentemente stipulati.
Ad ogni modo, è certo che mentre inizialmente le FARC si limitavano a “tassare” queste attività economiche percependo una percentuale del ricavato oppure esigendo un’imposta su ogni macchinario pesante che entrava nel proprio territorio, recentemente hanno organizzato un proprio esercito di scavatrici e lavoratori locali per l’estrazione di minerali in diverse aree: tra gli altri, significativo è il dipartimento di Putumayo dove, secondo il sindaco di Mocoa Jhimmy Calvache, il gruppo guerrigliero registra un fatturato di circa 450mila dollari a settimana. Oro, smeraldi, tungsteno alimentano ed esasperano le loro avide voglie: in una delle ricche municipalità di Antioquia, Anori, le autorità locali stimano che i proventi delle FARC giungano ad almeno 240mila dollari al mese.
Intanto peggiorano le condizioni per le vittime più dirette dell’attività estrattiva illegale. Da un lato l’ambiente, con fiumi e falde acquifere inquinati dai prodotti chimici non conformi agli standard ambientali internazionali. Dall’altro, le popolazioni indigene, costrette a lasciare le proprie case: secondo le organizzazioni umanitarie, negli ultimi anni quattro milioni di persone sono state espulse dalle proprie terre e circa l’87% di questi abusi sono stati perpetrati nelle otto provincie più caratterizzate da questo tipo di commercio.
La doppia faccia della medaglia
Certo, questa nuova fonte di finanziamento potrebbe permettere la riorganizzazione e il rinvigorimento di cui necessita una guerriglia armata indebolita e decimata da 50 anni di battaglie. Tuttavia, le dimensioni di una tale ricchezza fanno gola: capace di annebbiare e svilire l’integrità ideologica più adamantina, l’oro potrebbe effettivamente contribuire ad accrescere quella profonda frammentazione intestina che già caratterizza il movimento rivoluzionario: con un epilogo diametralmente opposto a quello auspicato dai suoi più membri più intransigenti e motivati.
Comments