Nel disastro dei partiti Berlusconi si conferma un perdente di successo - Diritto di critica
Il M5S ha stravinto e i partiti hanno perso. Tutti. L’affermazione straordinaria di Beppe Grillo e del M5S apre le porte al cambiamento politico più grande degli ultimi vent’anni anni e forse dell’intera storia della Repubblica italiana. Siamo all’inizio di una rivoluzione, il che non è per forza sinonimo di qualcosa di positivo, ma certamente rappresenta un cambiamento in atto. Un vento fortissimo che ha appena iniziato a spazzar via la Seconda Repubblica e con essa tutto ciò che è rimasto della Prima. L’elettorato ha voltato le spalle e chi dice, come il Pd, di avere vinto mente sapendo di mentire. Nello sfacelo dell’ingovernabilità italiana, però, c’è anche chi esulta: Silvio Berlusconi. Proprio lui.
Pur avendo preso una sonora batosta (nel 2008 aveva più del 37%), alla fine ha ottenuto ciò che voleva: paralizzare il Senato. Se Grillo non sarà così pazzo da allearsi con i partiti – e non lo è -, Berlusconi avrà vinto la sua partita: chiunque vorrà governare avrà bisogno di un “governissimo” che non può prescindere da lui. Il giaguaro non solo ha mantenuto un bel po’ di macchie, ma ha piazzato la zampata, ha quasi divorato Bersani.
Ovunque risuona la domanda: come è possibile votarlo ancora? Potremmo stare le ore a ricordarci delle inchieste, degli arresti, delle leggi, degli scandali, delle figuracce, degli sperperi e degli errori, delle bugie, delle inettitudini e delle ruberie di una classe politica deprimente capace di ridurre il Parlamento a un grande comitato d’affari per amici e amichette etc… “Capire chi ha votato il Pdl è difficile come individuare chi ha scoreggiato sull’autobus”, recitava, senza alcun rispetto per il voto popolare, un tweet rilanciato in rete.
Ma dibattere sui vizi italici, ha senso? Quanto è giusto e quanto è utile indagare una scelta personale senza considerare gli elementi che l’hanno ispirata? La restituzione dell’Imu ha avuto un’importanza basilare, ma a tenere a galla il Pdl sono stati anche il decisionismo, la capacità nel percepire l’elettorato e soprattutto la comunicazione usata dal suo capo. Berlusconi ha costruito una prospettiva della realtà in cui il Pd, Monti, Casini, Fini, La Repubblica di Scalfari e De Benedetti, Santoro e Travaglio, Il Fatto, Di Pietro, i magistrati, Ingroia, i comunisti, MPS, etc..figurano tutti dalla stessa parte. Tutti contro di lui e tutti a far finta di essere meglio, pur essendo uguali o peggiori di lui. Tutti parte di un complotto ispirato dalla Ue e dalla Merkel e sostenuto dai poteri forti nascosti dietro le tenebre dello spread e teso a spodestarlo inventando bugie.
Da ex premier ha fatto ricadere ogni colpa su Monti. Come se avesse vissuto altrove e non fosse stato per anni a capo di un Parlamento pieno di impresentabili, uno tra i più scandalosi che si siano mai visti. Anche per questo la resurrezione del suo cadavere politico, con tutto il peso che si porta appresso, è da considerarsi un piccolo capolavoro.
Ricordate com’era partito? Quando se ne era andato in Africa da Briatore, o quando se ne stava in silenzio a fare il padre ferito mentre le nuove leve si preparavano a decretarne la fine con le primarie? Sembrava tornato alle occupazioni di un tempo, avviato verso la pensione. Erano i tempi delle primarie del centrosinistra, nel Pd andava in scena lo scontro tra vecchio e nuovo, poi finito con l’infanticidio del rottamatore. Berlusconi taceva, silenzio totale. La fronda “montiana” intanto cresceva e si offriva al professore, sicura che il capo fosse al canto del cigno. Poi il rientro, dopo la condanna a 4 anni in primo grado. Quasi di soppiatto, sbeffeggiato da tutti. Preda di un’incertezza assoluta sul da farsi: attaccava Monti, poi gli proponeva di capeggiare il suo partito e incassato il no lo attaccava di nuovo.
In quel momento il Pdl era morto, aggrappato a un ex premier affondato e preso in giro tutti, con un bagaglio di colpe e di ombre unico al mondo. Eppure, il venditore, l’imprenditore, il cantante di piano-bar, lo spregiudicato padrone delle tv locali e il politico che aveva stravinto le ultime elezioni non ha perso tempo né speranze. Mentre gli altri ridevano e la vecchia dirigenza Pd brindava – senza rendersi conto di essere in punto di morte – Berlusconi studiava Grillo. Ripreso il comando e tolto l’ appoggio a Monti ha strozzato gli oppositori interni, serrato i ranghi, eliminato alcuni impresentabili (vedi Cosentino), ha chiuso ogni discorso sulle primarie a ha chiesto ai suoi di fidarsi ancora una volta del loro padrone. Ha deciso di dar fuoco al Paese, di giocare contro la responsabilità sostenuta fino ad allora, contro i mercati, lo spread e l’Europa. Contro tutti. Ha riempito ogni spazio, di continuo. All’inizio collezionando figure imbarazzanti – vedi con la D’Urso e Giletti – e prese in giro.
Una discesa in campo patetica, che non ha intimorito nessuno. Ma pian piano si è riportato ancora una volta al centro della scena, a lavare i panni sporchi magari, ma sempre e comunque in primo piano. All’opposto di Grillo si è presentato ovunque, senza eccezioni. E così è arrivato anche il turno di Michele Santoro. Lì, Silvio Berlusconi si è giocato al meglio le sue carte, affrontando i suoi più acerrimi nemici e tenendo il campo da showman consumato. Segnando un punto decisivo. Berlusconi si è battuto con forza per convincere un elettorato in fuga a tornare all’ovile e lo ha fatto non solo parlando alle tasche dei cittadini, ma anche allo stomaco. Con un’argomentazione semplice: si stava meglio quando si stava peggio.
Nel mercato della politica l’offerta si deve indirizzare verso un segmento specifico di elettorato e se vuole avere speranze concrete, deve cercare di essere unica. Berlusconi ha lanciato messaggi immediati, diretti, giocando ad infilarsi nelle crepe avversarie per marcare la differenza. Può competere un messaggio – irresponsabile e falso, ma concreto e attraente per tanti – come vi tolgo l’IMU e vi restituisco i soldi, con gli appelli di Bersani a smacchiare il giaguaro? “Oh, ragassiii…”.
Perfino la sparata sul condono tombale è suonata più vera della promessa del Pd di avere più lavoro e più equità senza dire mai una volta in che modo. Se con la patrimoniale o meno, se investendo o meno. Per non parlare della guerra a oltranza contro i tecnici che sparano teorie mentre le aziende chiudono, contrapposta all’atteggiamento ondivago di un Pd che un giorno attacca Monti e un altro lo vuole con sé.
In un Paese che ha dimostrato di amare molto meno di un tempo il giustizialismo e i magistrati (specie in politica), Berlusconi ha utilizzato gli scandali “a orologeria” esplosi in campagna elettorale per dimostrare come alla fine i partiti siano tutti uguali, pur ricevendo un diverso trattamento. E se per Finmeccanica ha difeso la pratica delle tangenti, su MPS ha stigmatizzato le coperture offerte al Pd.
Individuato il nemico e forte di alcune proposte precise, basate sull’utilitarismo spicciolo e sulla convenienza, Berlusconi ha scommesso di riuscire a tirare fuori un senso di appartenenza e di rivalsa nei tanti che negli anni gli hanno dato il voto. In ogni modo, anche con le battute da caserma e con l’apprezzamento volgare all’impiegata d’azienda. Chissà se si è ubriacato per la fine di Fini e la disfatta di Casini? Sarebbe l’unico sconfitto a brindare. Come dire: un perdente di successo.
-
Questo è, nel mio modestissimo parere di lettore casuale, un bell’articolo.
Comments