Tre impiccagioni: il Giappone sfida la comunità internazionale sulla pena di morte - Diritto di critica
Chi pensava che il governo guidato dal premier Shinzo Abe potesse invertire rotta, in tema di politiche sulla pena capitale, è rimasto deluso. All’annuncio del ministro della Giustizia giapponese Sadakazu Tanigaki è seguita la protesta della comunità internazionale per una pratica che le associazioni dei diritti umani considerano “barbara” e “antiquata”. Le tre impiccagioni, disposte ed eseguite giovedì scorso, sono i primi provvedimenti di questo tipo disposti dal premier Abe da quando ha assunto la carica.
Il ministro della Giustizia ha riferito che le esecuzioni capitali sono avvenute nelle prime ore del mattino in tre differenti località. Uno dei tre condannati, Karou Kobayashi, è stato giustiziato per aver adescato a scuola, violentato e assassinato una bambina di sette anni nel 2004. L’uomo aveva anche spedito una fotografia della ragazzina morta alla madre. Le esecuzioni capitali, dal primo settembre del 2012, potrebbero segnare un graduale ritorno alla pratica della pena di morte, sotto l’attuale ministro della Giustizia Sadakazu Tanigaki: “Ho ordinato le esecuzioni dopo aver studiato attentamente caso per caso. Si trattava di episodi estremamente cruenti in cui gli assassini hanno ucciso le loro vittime solo per fini egoistici”.
La sede giapponese di Amnesty International ha condannato le esecuzioni: “Il governo giapponese non può essere esonerato dagli standard internazionali in tema di diritti umani, semplicemente ottenendo il consenso popolare”. Si stima, infatti, che nel paese nipponico circa l’80% della popolazione sia favorevole alla pena di morte. Lo scorso anno, il ministro non ha esitato a firmare ordini di esecuzione, mentre i suoi predecessori si erano rifiutati arrivando a una moratoria de facto. La segretezza nelle esecuzioni è una pratica diffusa. I condannati ricevono la notizia poco tempo prima di essere condotti al patibolo e le loro famiglie vengono informate del decesso dei loro cari solo dopo che le esecuzioni hanno avuto luogo.
Alla fine del 2012, sono stati 133 i detenuti nel braccio della morte in Giappone, il numero più alto dal 1949. Tra i condannati c’è anche Shoko Asahara, il leader del culto del giorno del giudizio che nel 1995 fu responsabile della morte di 13 persone nella metropolitana di Tokyo disponendo l’utilizzo del gas nervino. Il precedente governo, guidato dal Partito Democratico del Giappone (DPJ), ha giustiziato nove persone in tre anni e tre mesi, compreso un periodo di diciotto mesi, a partire dal luglio del 2010, nel quale non hanno avuto luogo impiccagioni. Nei tre anni dal 2008 ci furono 28 esecuzioni.
Il Giappone e gli Stati Uniti sono gli unici grandi paesi industrializzati, eccezion fatta per la Cina, che mantengono la pena di morte. Nel dicembre scorso, le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione che chiedeva al Giappone e ad altri paesi di imporre una moratoria sulla pena di morte o maggiore trasparenza sulle esecuzioni capitali. Un rapporto pubblicato da Amnesty International nel 2008 è stato molto critico col Giappone sostenendo che i detenuti hanno ricevuto un trattamento “crudele, inumano e degradante”.
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Premessa:personalmente sono contro la pena di morte, perché ritengo che instilli,in chi sa di rischiarla,la sensazione di non avere nulla da perdere,innescando catene di reati potenzialmente peggiori.
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Queste mie convinzioni, però, vacillano dopo aver letto su Wikipedia la voce su Karou Kobayashi.
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