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Diritto di critica | December 26, 2024

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E ora Fini rischia di sparire

Gianfranco Fini

di Alessandro Conte

In Parlamento dal 12 luglio 1983, data di inizio della IX Legislatura, il leader di Futuro e Libertà Gianfranco Fini rischia dopo trent’anni di restare fuori dal Parlamento. L’apporto alla coalizione “montiana” sarebbe quasi nullo e la sua futura presenza in Transatlantico è appesa al destino di Pierferdinando Casini.

Potere debole. Quando il 22 aprile 2010 Gianfranco Fini diede la stura all’ondata anti-berlusconiana con il famoso indice puntato contro il Cavaliere al grido di “Che fai, mi cacci?”, in molti pensavano, soprattutto a sinistra e forse anche nell’ala moderata del Pdl, che il periodo berlusconiano stesse per finire. Quanto meno il presagio era quello di un cambio di prospettiva che veniva avviato da colui che per tanti anni era stato il braccio destro fidato di Berlusconi. Da quel 22 aprile, invece, Fini non ha avuto vita facile su nessun fronte: dall’affaire Montecarlo all’isolamento dei pasdaran del Pdl – compresi gli ex An – che lo hanno additato come l’untore del partito, fino ad arrivare all’appoggio convinto all’esecutivo Monti – e alla stessa candidatura del Professore – che giorno dopo giorno impoverito paradossalmente lo stesso potere politico di Fini e del suo nuovo partito Futuro e Libertà.

La parabola discendente. Il progressivo posizionamento al centro – spinto soprattutto dal bisogno di allontanarsi da Silvio Berlusconi – ha esautorato Fini di ogni peso e autorevolezza politica, come evidenziano gli ultimi dati sul consenso relativi a Fli e al suo leader, minandone la coerenza agli occhi dell’opinione pubblica a causa dei numerosi cambi di prospettiva evidenziati con gli anni e mai perdonatigli da coloro che lo accusano di aver distrutto l’eredità della destra italiana. In effetti, le tappe della storia politica parlano di un cammino progressivo che, a distanza di vent’anni, sembra non aver pagato. Nel novembre del ’93, sostenuto da Berlusconi, Fini perse per un soffio il Campidoglio a vantaggio di Rutelli. Poco tempo dopo, nel gennaio del ’95, traghettò l’allora Movimento Sociale Italiano verso Alleanza Nazionale con la svolta di Fiuggi. Nel gennaio 2007 subì di fatto la nascita del Popolo della Libertà ad opera del Cavaliere, il quale accentrò su di sé e fuse insieme Forza Italia e Alleanza Nazionale.

Le contraddizioni. 5 gennaio 1990: “Nessuno può chiederci abiure della nostra matrice fascista”. 27 gennaio 1995: “È giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”. Tra le due dichiarazioni esiste un solco incolmabile: è lo stesso Fini che oggi è intenzionato a rifondare una destra moderata, europeista e, per certi versi, progressista, lontana da quel fascismo giudicato, durante una sua visita in Israele, “il male assoluto del XX secolo”. Non solo. Anche sui temi etici, come unioni civili e biotestamento, sull’immigrazione e sui temi della giustizia, appare netta la rottura col passato operata dal leader di Fli. Prese di distanza che oggi contribuiscono a penalizzare la sua offerta politica, minata a destra dagli ex colleghi di An e al centro dalla nascente forza moderata compattata attorno a Monti.

Quale futuro? A poco meno di due settimane dal voto lo scenario politico pare polarizzato attorno alle offerte di Berlusconi e Bersani, con Mario Monti costretto a rincorrere da un lato il Cavaliere sui temi dell’economia e dall’altro a tessere un dialogo con il segretario Pd che, al di là delle prese di distanza formali, pare l’unica coalizione possibile in grado di dare stabilità politica dopo il 25 febbraio. L’abdicazione di Benedetto XVI, tuttavia, rischia di mettere in secondo piano coloro che cercano di avere visibilità per accrescere il proprio consenso. Tra i piccoli partiti, e con questa legge elettorale, proprio Gianfranco Fini potrebbe essere il più penalizzato: Fli viene dato sotto l’1% e, qualora l’Udc non dovesse sfondare quota 2% (nell’ultima rilevazione si attestava al 3,3%, ma con un trend decisamente negativo), potrebbe restare fuori dal Parlamento, scontando quello stesso cambiamento auspicato con il famoso dito puntato a Berlusconi.

Twitter: @aleconte84

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