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Diritto di critica | November 21, 2024

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Quella transizione incompiuta della Primavera araba verso al democrazia

Manifestanti in EgittoSono passati più di due anni dall’inizio dei primi tumulti che hanno portato alla Primavera Araba e la situazione in Medio Oriente è sempre più preoccupante. Il passaggio dalle dittature dei rais alla democrazia non risulta affatto indolore in quanto le rivolte non hanno soltanto scosso la situazione interna dei vari paesi coinvolti ma hanno anche stravolto equilibri ed alleanze strategiche fondamentali con conseguenti disordini per alcune zone limitrofe.

Il caos egiziano. In Egitto la situazione è ancora confusa e, nonostante il governo legato ai Fratelli Musulmani cerchi in tutti i modi di convincere la comunità internazionale del suo serio impegno verso una transizione democratica, i fatti raccontano ben altro: una Costituzione controversa e contestata dalla popolazione, un’Assemblea costituente non rappresentativa, la persecuzione nei confronti dei media ampiamente documentata da diverse organizzazioni per i diritti umani, la “fratellizazione” dei sindacati, la brutalità della polizia nei confronti dei manifestanti. Nelle scorse settimane un oceano di persone si è riversato nelle strade per contestare il governo Mursi. Un governo che è ormai in seria difficoltà nel gestire l’ordine pubblico, che non è stato in grado di dar seguito al progetto economico Nahda ed ha dovuto optare per una pericolosa liberalizzazione legata alla richiesta di un prestito al Fondo Monetario Internazionale e che rischia di mettere ulteriormente in crisi la situazione economica del paese che è già molto pesante. In questa situazione già caotica si inseriscono inoltre i “black block”, un nuovo gruppo ancora poco conosciuto, che si è costituito per contrastare le violenze degli islamisti e delle forze di sicurezza. Dunque se prima gli egiziani si sono mobilitati per abbattere il regime di Mubarak, ora sembrano aver intrapreso la stessa strada per far cadere il governo islamista; una rivoluzione dirottata e non ancora terminata.

La Siria senza guida. In Siria il regime di Assad non è ancora caduto ufficialmente ma risulta ormai chiaro che non ha più il controllo del paese; le autobombe nel centro di Damasco, l’attacco dei jet israeliani al deposito di munizioni di Jamaraya e al convoglio diretto in Libano sono solo alcuni esempi di una situazione oramai al collasso. Un altro strano elemento risulta essere il filmato messo in onda dalla tv di stato siriana lo scorso 24 gennaio, spacciata per “diretta”, ma che mostrava, in realtà, Bashir al-Assad assieme a un uomo deceduto diversi mesi prima; dunque un probabile tentativo da parte del rais di far credere alla popolazione di essere ancora in forze e a Damasco.

L’Iran rischia l’isolamento. Il regime iraniano sta vivendo con preoccupazione la caduta del regime alawita in Siria, in quanto perderebbe il suo fondamentale alleato in Medio Oriente e verrebbe meno quell’asse sciita che permette a Teheran di affacciarsi sull’area mediterranea, rendendo più difficile anche il rifornimento alle milizie sciite libanesi di Hizbullah. Non è un caso che il traffico di armi nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso sembra essersi intensificato negli ultimi mesi; diverse navi iraniane cariche di materiale bellico sono state segnalate nella zona e lo scorso ottobre aerei israeliani hanno bombardato una deposito in Sudan con armi presumibilmente iraniane al proprio interno. Evidentemente la rotta via Damasco risulta sempre più complicata per gli iraniani.

Il Libano influenzato dai vicini. Il conflitto siriano ha poi avuto pesanti ripercussioni anche sugli equilibri interni del Libano, violenti scontri sono scoppiati nel nord del paese e al confine con la Siria, tra milizie sciite e sunnite ed hanno causato numerosi morti e feriti.

La Libia e l’istabile Sahel. La caduta di Gheddafi in Libia ha invece portato a forti ripercussioni nella zona del Sahel in quanto la Libia del Colonnello svolgeva lì un ruolo di vitale importanza per il mantenimento della stabilità nella zona. Se alcune tensioni regionali erano state – con efficacia – tenute a bada da Gheddafi, con la sua caduta si sono riaperte.

Il fronte del Mali. Vi sono poi migliaia di Tuareg precedentemente arruolati nelle forze armate di Gheddafi che si sono trovati improvvisamente senza niente e si sono conseguentemente riversati in Mali, ma non prima di essersi impossessati di una grossa quantità di armamenti, in alcuni casi prelevati dagli ex depositi dell’esercito libico che, secondo alcune fonti, risultano essere diventati dei veri e propri mercati dove si riforniscono anche gli jihadisti attivi nella zona, come quelli che per mesi hanno messo a ferro e fuoco il nord del Mali, prima di essere respinti dall’intervento congiunto dell’esercito francese e maliano.

Una situazione, quindi, sempre più calda che coinvolge ormai una vasta area che va dall’Africa Occidentale al Golfo Persico e che viene osservata con seria preoccupazione dalla comunità internazionale.

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