Salari reali in calo, peggior dato ultimi 30 anni
Ci stiamo impoverendo. L’Istat stima un’aumento medio dell’1,5% dei salari italiani, contro la crescita del 3% secca dei prezzi nel corso del 2012. Il potere d’acquisto è diminuito pesantemente (-1,5%) aggravando il peso del cuneo fiscale (giunto a fine 2012 al livello record del 45%). Gli industriali invocano una forte maggioranza alle elezioni di febbraio, nella speranza che arrivi il “rimbalzo”: perché – parola di Confindustria, “abbiamo toccato il fondo”. Giovani, insegnanti e pubblici impiegati i più colpiti dal calo del potere d’acquisto.
“Bisogna tutelare il potere d’acquisto dei consumatori, cosa che evidentemente non è stata fatta”. Non ha torto Susanna Camusso, segretaria Cgil, di fronte ai dati diffusi dall’Istat sul fronte dei salari. Nell’ultimo anno le retribuzioni orarie medie sono cresciute di appena l’1,5% rispetto al 2011: è il dato peggiore dal 1983, ovvero dall’eliminazione della “scala mobile”. Se appare oggi naturale che i salari non siano agganciati direttamente all’inflazione, è però vero che il potere d’acquisto degli italiani è drammaticamente diminuito. L’inflazione corre in maniera costante al 3%, ovvero al livello di soglia stabilito dalla Bce con l’euro (e che la Bce e Bankitalia difendono ogni giorno, per non farlo esplodere). Ne risulta una perdita di valore dell’1,5% sullo stipendio medio dei lavoratori italiani, che oggi possono comprare meno di un anno fa e meno degli ultimi 10 anni.
Sono i giovani, i docenti e il pubblico impiego le categorie più colpite dai salari bloccati (quelli reali sono addirittura diminuiti). Sul fronte pubblico, la spending review e le misure di austerity decise dal governo Monti hanno proseguito la linea dura – congelando retribuzioni e assunzioni della Pubblica Amministrazione. Un blocco che durerà fino al 2014 – almeno – e che esclude ogni indennizzo di vacanza contrattuale (ovvero i rimborsi per le tornate di rinnovo contrattuale saltate negli ultimi 3 anni).
Per i giovani, i dati sono drammatici. Dal 2002 i salari medi per i lavoratori al di sotto dei 35 anni sono bloccati: nemmeno la riforma di Elsa Fornero, se mai ha avuto l’intento di correggere tale anomalia, è riuscita a migliorare i livelli contrattuali dei giovani. I docenti, poi, sono un capitolo a parte. In tutta Europa la crisi ha portato ad un taglio dei salari pubblici, e i primi a risentirne sono stati proprio gli insegnanti: in 16 paesi europei (praticamente tutta l’Europa occidentale) il salario medio dei docenti è diminuito tra il 5% e il 30%. Peggio di tutti in Portogallo, Irlanda e Grecia, (che hanno tagliato dal 30% al 13% del salario dei docenti), secondo molti a causa degli accordi per il salvataggio da parte della Troika (i governi smentiscono, i numeri no). In Italia le retribuzioni medie sono tornate al livello del 2000.
Gli industriali sperano ottimisticamente in un “rimbalzo”: se dalle elezioni uscirà una maggioranza forte, dicono, è possibile ripartire dal potere d’acquisto dei consumatori e delle aziende. Peccato che, con un cuneo fiscale del 45% – che non accenna a diminuire – il portafogli degli italiani sia vuoto.
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