La strage di Ustica e la tesi del missile, i conti non tornano
L’ANALISI – Dopo oltre trent’anni, ieri le motivazioni della sentenza di Cassazione hanno decretato una verità sconcertante: ad abbattere il Dc9 dell’Itavia fu un missile. Sparato da chi, non si sa. Un missile (così come l’ipotetica bomba) che però non ha lasciato tracce sul velivolo, sui corpi recuperati e ha “risparmiato” integro – esplodendo – addirittura il bulbo di una lampadina nel vano bagagli.
Prima il cedimento strutturale, poi una bomba a bordo, infine un missile, con tanto di dichiarazione dell’ex presidente Francesco Cossiga che aveva attribuito la responsabilità ai francesi. Queste le tesi che da trent’anni a questa parte stanno tenendo banco nella discussione su cosa possa essere accaduto nei cieli del Tirreno la sera del 27 giugno 1980.
Unici dati di fatto restano le perizie, sintetizzate in cinquemila pagine e a vario modo inficiate da depistaggi vari, che sembrano però aver messo in evidenza alcuni punti fermi: sul relitto del DC9 non ci sono segni evidenti dell’esplosione di un missile (tant’è che si ipotizzò un abbattimento mediante testata di guerra del tipo Continuous Rod, tale da lasciare segni limitati sul velivolo. Che non ne abbia lasciato alcuno, però, è quanto meno paradossale) a confermarlo anche le autopsie sui corpi recuperati in mare, che non evidenziarono bruciature né segni di esposizione ad esplosione.
Per buona pace dell’ex ministro Giovanardi, è stata rifiutata anche la teoria dello scoppio di un ordigno interno all’aereo. Nessun segno di bomba nella cabina passeggeri né nella stiva, dove addirittura venne ritrovato il bulbo integro di una lampadina. L’unico posto dove in un primo momento si ipotizzò la possibile presenza di una bomba, invece, fu la toilette. Tutte le perizie, però, hanno messo nero su bianco che in quel punto del velivolo non sono stati rinvenuti segni primari di esplosione né modificazioni tali della struttura da far indurre la presenza di una bomba a bordo. Fondamentale un ultimo dato: considerando che il DC9 era decollato da Bologna con due ore di ritardo, un ordigno posizionato a bordo avrebbe rischiato di esplodere mentre l’aereo si trovava ancora sulla pista. Particolare, quest’ultimo, ignorato anche da personalità istituzionali come il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi che pochi giorni fa ha detto «Vorrei sapere chi ha messo la bomba nella toilette dell’aereo».
La tesi dell’ordigno, all’epoca venne fatta propria dall’Aeronautica militare che, in quel modo, contava di tirarsi fuori dalla responsabilità di non aver protetto i cieli italiani da eventuali intrusi che avrebbero potuto incrociare fatalmente il volo dell’aereo civile. Sarebbe stato, a quel punto, un attentato – mai rivendicato da alcuno! – di matrice terroristica.
Tra i pochi punti certi, nonostante tentativi di attribuirgli altri significati lontani dalla realtà, la presenza di un velivolo che volava di conserva al DC9 dell’Itavia, probabilmente il Mig23 caduto sulla Sila ufficialmente il 18 luglio successivo e il cui pilota, però, venne ritrovato in avanzatissimo stato di decomposizione, compatibile con una morte avvenuta una ventina di giorni prima. A supporto di una retrodatazione della caduta del Mig23, anche la testimonianza di tre cittadini che la sera del 27 giugno dissero di aver assistito, vero le nove di sera, ad un combattimento aereo sui cieli della Calabria, zona Sila e pre-Sila. Le loro parole, poche righe in migliaia pagine di carte, sono passate del tutto inosservate.
Se non è stato un missile e nemmeno una bomba – mancano i segni evidenti, come confermato dalle perizie -, chi o cosa ha abbattuto il volo IH870 Bologna – Palermo? Fatta salva la presenza di altri aerei nelle immediate vicinanze del DC9, testimoniata da diversi riscontri radar messi agli atti del processo, dai tabulati emerge una verità differente, sostenuta in solitudine da Carlo Casarosa, perito dell’ultima commissione sul disastro di Ustica e direttore del dipartimento di Meccanica del volo dell’Università di Pisa: la quasi collisione. La rotta del DC9, infatti, è stata incrociata da due velivoli a prua pochi istanti prima dell’incidente. Si tratta di aerei da caccia che si erano probabilmente lanciati all’inseguimento del velivolo che volava nascosto sotto al volo IH870 e che diverse volte viene visto sia dai radar civili di Ciampino sia da quelli militari della Difesa Aerea.
Mentre per la tesi della bomba e del missile i punti oscuri sono molti, il relitto del DC9 racconta una storia ben precisa: l’ala sinistra è spezzata verso il basso. Tale frattura non è spiegabile in alcun modo se non con la tesi secondo cui una violenta turbolenza avrebbe insistito sull’estremità alare fino a spezzarla. E una pressione simile può essere esercitata solo ed esclusivamente dalla scia prodotta da un altro velivolo. Il Mig23 probabilmente che, vistosi individuato da aerei dell’Alleanza Atlantica, ha tentato di smarcarsi e di superare il DC9, sfiorando quasi le ali dell’aereo civile e scivolando poi verso la Calabria dove – secondo le testimonianze di diverse persone – è stato abbattuto (l’Aeronautica Militare, quella stessa sera, attivò l’aeroporto di Crotone chiedendo se avesse avuto notizia di un aereo caduto in zona e fece decollare diversi elicotteri per sorvolare la Sila). E chi scrive ha avuto l’opportunità di leggere il manuale di volo dell’epoca del Mig23 dove è chiaramente indicato che – durante il volo ravvicinato in coppia – le turbolenze create dalle ali del velivolo possono spezzare le ali di un altro gregario, figuriamoci quelle di un aereo civile.
Una quasi collisione, dunque, come è stata ribattezzata dai periti, che avrebbe spezzato un’estremità alare del DC9 e mandato in un fatale stallo il velivolo. Tra tutti gli elementi incerti attorno ai quali si sono scontrati i diversi periti, quell’ala spezzata verso il basso è invece l’unico dato di fatto inconfutabile proveniente non dai calcoli degli esperti ma dal relitto.
Cosa ci faceva un Mig23 sui cieli dell’Italia? Molto probabilmente tornava in Libia dopo aver fatto manutenzione in Jugoslavia, con il tacito accordo delle autorità italiane (nei tracciati si vedono alcuni F-104 provenienti da Nord che arrivano fin sotto il Dc9, in formazione forse a “coprire” il Mig che a quel punto si è “agganciato” sotto il Dc9), e si era instradato sotto al velivolo civile per sfuggire ai radar. Il volo IH870, infatti, arrivava proprio a Palermo: la Libia era a un tiro di schioppo. Individuato dai caccia alleati, il pilota del Mig avrebbe quindi tentato una fuga disperata conclusasi – anche per mancanza di carburante, dato che il caccia non aveva serbatoi ausiliari – contro una montagna della Sila.
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