Egitto nel caos, Piazza Tahrir contro Morsi
Situazione sempre più drammatica in Egitto; nel weekend violenti scontri tra manifestanti anti-governo e forze dell’ordine hanno causato decine di morti e centinaia di feriti, numerosi anche gli arresti. Gli scontri sono avvenuti in diverse città del paese, al Cairo, ad Alessandria, Port Said e Suez.
In piazza Tahrir violente proteste sono scoppiate davanti alla sede della Lega Araba, le forze di polizia hanno risposto con gas lacrimogeni e molti manifestanti sono scappati verso le strade adiacenti al Nilo; alcuni si sono anche gettati nel fiume per scappare dai mezzi blindati. Il presidente egiziano Mohamed Mursi ha cancellato il suo viaggio in Etiopia, ha convocato una riunione d’urgenza con il Consiglio Nazionale di Difesa ed ha richiamato il primo ministro Hisham Qandyl, che si trovava in Svizzera per il Forum Economico Mondiale.
A due anni esatti dall’inizio della rivoluzione l’Egitto continua ad essere nel caos; il paese è infatti in preda a forti conflitti interni che alcuni hanno definito come uno scontro tra forze islamiste e laico-liberali; una panoramica riduttiva se non inesatta in quanto la situazione risulta essere molto più complessa.
I Fratelli Musulmani hanno cercato più volte di far passare l’opposizione come anti-islamica e legata al vecchio regime ma, al di là dei propri sostenitori, sono ben pochi quelli disposti a crederci. In primis perché gran parte dei manifestanti scesi in piazza sono anche loro musulmani e poi in quanto le critiche a Mursi sono arrivate anche da parte della corrente islamista; non dimentichiamo le dimissioni di massa da parte dei consiglieri di Mursi e le pesanti critiche di Aboul Fotouh, islamista ed ex membro della Fratellanza, il quale ha dichiarato ad Al Arabiya che i Fratelli Musulmani governano al posto di Mursi ed interferiscono nelle sue decisioni, intrappolandolo in scelte anti-costituzionali. Fotouh ha inoltre aggiunto che una maggioranza, se eletta, ha il diritto di formare un governo, ma non può certo imporre il proprio volere a tutti.
Elemento significativo risulta essere il fatto che governo e opposizione abbiano stabilito due date differenti per celebrare l’anniversario della rivoluzione, il 25 gennaio per le forze anti-governative in quanto primo giorno di manifestazioni spontanee in piazza Tahrir e il 28 gennaio per il governo, visto che la Fratellanza decise in questa data di scendere in piazza per unirsi ai manifestanti; una differenza eloquente.
Numerosi sono poi gli episodi che hanno messo a serio rischio la credibilità del governo Mursi, come ad esempio la dichiarazione del Ministro dell’Istruzione Ibrahim Ghoneim, il quale ha affermato che i bambini di fede Bahai non possono iscriversi a scuola in quanto la Costituzione riconosce solamente le tre religioni abramitiche.
C’è poi la persecuzione nei confronti della stampa e dei media, documentata anche da un rapporto dell’ organizzazione per i diritti umani ANHRI che ha messo in evidenza come il numero di denunce nei confronti di giornalisti da parte dei “fedelissimi” di Mursi sarebbe di quattro volte maggiore rispetto all’era Mubarak e 24 volte maggiore rispetto a quella di Sadat.
Diversi noti giornalisti egiziani tra cui Ibrahim Abdel Meguid, Yousef el-Qaeed e Abla al-Roweni sono stati osteggiati e hanno subito censure a causa di pezzi critici nei confronti dei Fratelli Musulmani.
Il nuovo governo ha poi ristretto la libertà di protesta anche in ambito sindacale, ha messo in atto una “Fratellizzazione” dei sindacati occupando le posizioni chiave all’interno della Egyptian Trade Union Federation con un decreto costituzionale (decr. 97 del 25/11/2012) e con la possibilità, grazie all’articolo 52 della Costituzione, di sciogliere qualsiasi sindacato indipendente con una semplice sentenza della magistratura.
Quello che rischia però di far precipitare l’Egitto nel baratro di una “rivolta del pane” più violenta di quelle dell’era Sadat e Mubarak e che potrebbe verosimilmente diventare la causa principale di una potenziale caduta dell’esecutivo, è la politica economica messa in atto da Mursi.
La moneta egiziana è fortemente svalutata, l’inflazione è in crescita, i prezzi dei beni di prima necessità sono in aumento e le riserve di valuta straniera sono crollate del 60% negli ultimi due anni. Per cercare di porre un rimedio all’emergenza il governo sta prendendo accordi con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito di 4,8 miliardi di dollari, inizialmente considerato anti-islamico dagli islamisti, ma l’inconveniente è stato poi risolto da alcuni imam con un paio di fatawa ad hoc che lo hanno reso lecito.
Per ottenere il prestito l’FMI ha però posto alcune condizioni, tra cui l’introduzione di nuove tasse, una riforma del sistema dei sussidi su gas, carburante e pane; tutti provvedimenti che andrebbero a danneggiare principalmente i ceti medio-bassi e le zone rurali, cuore dell’elettorato islamista. Per aumentare la propria credibilità ed attirare investitori stranieri, il governo ha inoltre fatto notevoli tagli ai sussidi pubblici e posto incentivi all’imprenditoria privata.
Una politica economica definita da alcuni “capitalismo islamico”, che rischia di essere deleteria in un paese con circa un quarto della popolazione che vive sotto la soglia di povertà, con un tasso di disoccupazione del 12,6% e con una disoccupazione giovanile di circa il 25%.
Dopo quasi trent’anni di regime Mubarak e a due anni esatti dall’inizio della rivoluzione in Egitto è cambiato l’esecutivo, ma il paese è ancora ben lontano da quella democrazia tanto auspicata dal popolo di piazza Tahrir.
Comments