Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | December 26, 2024

Scroll to top

Top

‘‘Là-bas la banlieue’’, media e immigrazione in Francia. Intervista a Vincenzo Sassu - Diritto di critica

‘‘Là-bas la banlieue’’, media e immigrazione in Francia. Intervista a Vincenzo Sassu

A Clicy-sous-Bois fu la morte di due ragazzini in fuga dalla polizia, rimasti fulminati in una cabina elettrica dove avevano cercato rifugio, a innescare le violente proteste nelle banlieue parigine. L’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy, prima che le fiamme divampassero nelle periferie, gettò benzina sul fuoco definendo gli abitanti ‘recaille’ (feccia), promettendo di usare il pugno duro per fare una “vigorosa pulizia”. Il reportage di Vincenzo Sassu, che ha dato forma e contenuto a ‘Là-bas la banlieue’, ha intrecciato allo stesso tempo descrizione narrativa, analisi del contesto e l’inchiesta sul campo. “Sono sempre stato restio – ha spiegato il giornalista freelance a Diritto di Critica – ad accettare punti di vista che mi venivano imposti. Mi sono recato nelle banlieue e, per raccontare le storie di vita delle persone, ho avuto l’aiuto degli operatori e mediatori culturali. Con i ragazzi delle banlieue c’è stata complicità, dopo un iniziale imbarazzo. Tutto sta nell’avvicinarti alle loro emozioni e nell’essere empatico”.

Reportage Il racconto riveste i caratteri dell’attualità per i giovani che abitano le banlieue e per la loro esistenza. E proprio la periferia di Parigi diventa il luogo dove vivere la marginalità, la relegazione, dove il tasso di disoccupazione raggiunge soglie impensabili del 40% e dove i servizi sociali e sanitari sono scarsi. “La questione sociale in Francia – sottolinea Sassu – è frutto anche di politiche abitative sbagliate. Prima c’è stata la ghettizzazione di più persone e nuclei familiari nelle periferie è poi la politica se ne è disinteressata. Ci sono rotture di tipo familiare, sociale e giuridico che poi si traducono in violenze. E proprio la violenza, nei casi delle rivolte, diventa una forma di comunicazione efficace, soprattutto quando sei stato abbandonato da chi ti governa”.

Media Coloro che abitano nelle banlieue sono, talvolta, cittadini francesi a tutti gli effetti, ma non tutti i parigini sembrano pensarla così: “Le persone che vivono in periferia – afferma Sassu a Diritto di Critica – sono discriminate nel momento in cui cercano un posto di lavoro. I cittadini francesi, di seconda generazione, sono considerati di ‘serie B’. Il vero ossimoro è definirli come ‘immigrati di seconda generazione’. Tuttora chi vive nelle banlieue, sogna di abitare a Parigi così come lo sognavano i genitori immigrati dall’Africa o i nonni”. Il ruolo dei media francesi è stato ambiguo: da un lato ha fornito grande visibilità alle rivolte, ma dall’altro si è fermato al livello della spettacolarizzazione, “dando poco spazio ai veri protagonisti delle violenze: i giovani. E’ mancato l’approfondimento – ha ammonito l’autore del reportage – che sviscerasse i motivi delle rivolte. I giornalisti francesi si affidano, spesso, ai ‘fixer’, per ottenere storie considerate a rischio. La realtà è raccontata, talvolta, per stereotipi. Si potrebbe fare di più, anche perché il cronista è legato troppo alla linea politica del giornale per il quale lavora”.

Politiche abitative Gli unici esempi positivi legati alle banlieue, come spesso accade, sono relegati al mondo dello sport e a quello della musica: “Le persone si ricordano dei calciatori famosi o dei rapper. La società francese è votata alla diversità, ma il ‘diverso’, l’immigrato non è equiparato al cittadino francese con tutti i diritti che ne conseguono”. I sobborghi parigini non sono solo sinonimo di disagio, povertà e insicurezza. Sarkozy è stato il sindaco del comune di Neuilly sur Seine, una ‘banlieue chic’, in cui persone di un certo livello sociale decidono di relegarsi per questioni di sicurezza. Sulle questioni abitative c’è una precisa normativa statale che fissa al 20% il livello minimo degli alloggi popolari, ma alcuni comuni sembrano non rispettarla: “Gli alloggi popolari – spiega Vincenzo Sassu a Diritto di Critica – secondo la legge SRU (approvata nel 2000 per favorire la mixité sociale ed evitare la segregazione spaziale) dovrebbero rappresentare un quinto del totale, ma sono più di 736 le realtà che non rispettano la normativa. Ci sono, infatti, amministrazioni che preferiscono pagare delle multe piuttosto che ospitare persone di un basso livello sociale”.