Se gli ostaggi non fermano i missili - Diritto di critica
L’intervento aereo algerino sul campo petrolifero di In Amenas avrebbe causato 35 vittime tra gli ostaggi stranieri (su 41) e la morte di 15 rapitori (le fonti sono discordanti, ma il numero dei civili caduti è alto). Un raid fallimentare sotto il profilo umano, ma perfetto dal punto di vista politico. Ora i rapitori sanno che i 7 ostaggi rimasti nelle loro mani non li proteggono dai razzi nemici, e che la contrattazione non ha margini di trattativa. Il messaggio è chiaro: “Teneteveli pure, ma non toccate il petrolio”. Ma i dubbi si sprecano.
Il rapimento era avvenuto in grande stile la notte del 16 gennaio: la Brigata Mascherata, guidata dal leader jihadista di lungo corso Muktar Belmuktar, ha occupato il campo petrolifero di In Amenas dove lavorano la Sonatrach (algerina) e la norvegese Statoil, al fianco della britannica BP. Per alcune ore il gruppo terroristico sembrava in vantaggio, con i 41 ostaggi stranieri in mano e almeno 600 algerini catturati; ma subito dopo i messaggi di “vendetta” ricevuti ad Algeri, Bouteflika ha dato via libera agli elicotteri.
Il raid “impreciso”. Le versioni sulla dinamica dell’intervento algerino sono discordanti. Per Al Jazeera, gli elicotteri avrebbero aperto il fuoco su un convoglio di cinque camion in fuga dal complesso petrolifero, facendone esplodere uno e crivellandone tre, per un totale di 35 ostaggi occidentali uccisi e 15 rapitori caduti. Altri prigionieri sarebbero fuggiti nel deserto, sembra in 7, e alcuni (forse altri 7) sarebbero ancora in mano dei terroristi. Per l’agenzia di stampa Reuters, invece, il numero delle vittime sarebbe inferiore: 6 ostaggi e 8 rapitori, 25 sarebbero fuggiti (insieme alla totalità del personale algerino del campo, 600 persone).
Le domande. L’operazione di Muktar e la reazione durissima dell’esercito algerino sollevano parecchi dubbi. Primo: il campo di In Amenas si trova ad oltre 3o0 chilometri dal confine con il Mali settentrionale, da dove si suppone sia partito l’attacco terroristico. Si tratta di una zona pesantemente sorvegliata dall’esercito algerino, che al controllo dei confini in Sahara dedica oltre 300mila uomini. Come hanno fatto i terroristi a penetrare, pesantemente armati, in questo campo minato?
Secondo: il raid è avvenuto meno di 24 ore dopo l’attacco, nessuna via diplomatica sembra essere stata tentata per la liberazione degli ostaggi. Nè – stando alle dichiarazioni del premier britannico Cameron – Londra ne era stata informata. Perché Algeri non ha tentato una mediazione, né ha cercato l’intesa con i governi occidentali coinvolti (gli ostaggi erano francesi, britannici, norvegesi, giapponesi, etc)? Parigi, ricordiamolo, ha truppe in Malì proprio in questi giorni, e gli Stati Uniti hanno una base in Mauritania a 200 chilometri dal campo petrolifero.
Sulla rete, gli internauti algerini accusano l’esercito di incapacità e chiedono pugno duro contro il terrorismo: del Mali, scrivono alcuni, non importa nulla a nessuno, “questa è una questione interna dell’Algeria”.