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Diritto di critica | November 21, 2024

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Mattoni e fornaci, la vita dei piccoli afgani schiavi per debito

Ruzina ha solo nove anni. Tra le sue piccole mani uno stampo per mattoni. Elimina il fango in eccesso da quelli ancora non cotti e li mette al sole ad asciugare. Ruzina è una tra i migliaia di bambini afgani rifugiati in Pakistan che ogni giorno lavorano nelle fabbriche di mattoni per ripagare un prestito concesso ai loro genitori dal proprietario della fornace.

Un debito senza fine. Non sono nati schiavi ma lo sono diventati. La loro libertà in cambio della salvezza dell’intera famiglia. La loro infanzia e la loro educazione scolastica sacrificate tra la polvere ed il fango per lavorare senza fine a causa di un debito che non termina mai. Tassi di interesse sempre più alti costringono questi bambini ad essere schiavi per sempre.

Bisogno di soldi. La famiglia di Ruzina ha lasciato l’Afghanistan a causa della guerra nei primi anni novanta. Ha abbandonato tutto per ricostruirsi una vita a Peshawar a nord del Pakistan. Ma per iniziare aveva bisogno di soldi e per questo si erano rivolti al proprietario di una delle fornaci del posto al fine di ottenere un prestito. Quella richiesta ha determinato il futuro dei bambini che, ancora troppo piccoli per capire, lavorano silenziosamente a fianco dei genitori 12 ore al giorno. I loro occhi scuri sono rivolti verso terra, concentrati su quel fango che lavorano come fossero adulti. Il loro sguardo sconvolto è perso tra quella polvere che li ricopre interamente.

Una realtà quotidiana. L’80% dei lavoratori della fabbrica sono rifugiati afgani. Alcuni di loro hanno passato gli ultimi 14 anni di vita rinchiusi tra le mura di quella fabbrica. Lavorano tutti i giorni, tutto il giorno senza pause in cambio di nulla se non per saldare un debito. I bambini lavorano senza guanti, spesso si rompono le braccia a causa del peso dei mattoni e numerosi sono i casi di malattie connesse all’esposizione ai gas tossici esalati dalle fornaci. Ma i padroni si difendono dichiarando che assimilare le condizioni lavorative nelle fabbriche di mattoni allo schiavismo sia un’esagerazione.

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