Gli Usa via dall'Afghanistan? Intanto la missione cambia volto - Diritto di critica
Alla Casa Bianca sono ore importanti per la delicata questione Afghanistan. I consiglieri del Presidente Obama hanno fatto intendere di non escludere per il martoriato Paese asiatico la cosiddetta “opzione zero”, ovvero il ritiro di tutte le truppe statunitensi entro il 2014. L’ipotesi ha preso sempre più corpo dopo una videoconferenza pubblica nella quale il consigliere per la sicurezza nazionale, Ben Rhodes, ha dichiarato che «gli obiettivi in terra afgana sono quelli di smantellare Al Qaeda e di impedire il suo ritorno nel Paese, ma per raggiungerli ci sono vari modi, e non tutti prevedono l’impiego di truppe americane». «Il ritiro? – ha aggiunto – È una possibilità che consideriamo». Il modello sarebbe quello dell’Iraq, dove gli Usa hanno lasciato solo un insediamento puramente civile. Nonostante i 68mila soldati statunitensi in Afghanistan, la guerra ai talebani è stata giostrata anche con l’utilizzo di intelligence e alta tecnologia, a cominciare dai droni, efficaci sia nel sorvegliare che nel colpire eventuali obiettivi. Ecco allora che, dopo dodici anni di occupazione ed enormi costi in termini economici e di vite umane, il ritiro non è più una scelta così improbabile.
Il summit Obama – Karzai Nel frattempo Obama e il Presidente afgano Karzai hanno dichiarato in una conferenza stampa congiunta che le forze della Nato cesseranno le azioni di combattimento già dalla prossima primavera, cioè prima del previsto termine di metà anno. Il Presidente afgano è giunto a Washington nei giorni scorsi per incontrare il capo della Casa Bianca e discutere della presenza internazionale di truppe sul territorio asiatico, nonché tessere le basi per la fine di una guerra logorante che coinvolge più o meno direttamente Stati Uniti, Afghanistan, Pakistan e alcune fazioni di talebani. Per Karzai un cerimoniale formale, che ha compreso poi una riunione con il segretario della Difesa Leon Panetta e la visita al Memoriale dell’11 settembre, al Pentagono. Dal negoziato è anche scaturita la decisione di cambiare volto alla missione americana in Afghanistan: «A partire dai prossimi mesi le nostre forze avranno il ruolo di addestrare, consigliare, assistere le forze afgane, sarà un altro passo verso la sovranità del Paese». Gli Stati Uniti lasceranno inoltre al governo locale il controllo dei detenuti. Un accordo importante, anche perché il capo del governo afgano, nonostante le critiche alla gestione statunitense dell’occupazione, ha espresso più volte i timori di un indebolimento della sua coalizione in caso di ritiro degli Usa e dei contingenti alleati. Di fatto la presenza americana ha consentito, almeno sulla carta, di limitare l’azione di Al Qaeda e di tenere alta la pressione su Pakistan ed Iran. Secondo un recente rapporto della Difesa Usa, solo una delle 23 brigate dell’esercito afgano è attualmente in grado di operare sul territorio (per garantire stabilità e contrastare il terrorismo) senza l’assistenza delle truppe alleate e della Nato. Si definirà meglio, comunque, solo nei prossimi mesi il futuro stesso della missione americana, anche se molti analisti interni rimangono scettici sul ritiro completo dell’esercito e profilano una scelta meno drastica.
La versione del Pentagono C’è infatti ancora un disaccordo di base tra il governo e i vertici militari: il generale Allen, comandante della missione sul suolo asiatico, aveva confermato la necessità di tenere fino a 20mila soldati in Afghanistan anche dopo il 2014, ma Obama ha chiesto di rivedere la strategia e formulare altre soluzioni. Sono tre finora le opzioni ventilate dal Pentagono: tremila, seimila o novemila uomini distribuiti nei punti sensibili del territorio afgano. Al di sotto di questa cifra, fanno sapere, c’è il rischio di perdere il controllo dell’area. «Già con novemila uomini saremmo in difficoltà, con meno di tremila avremmo un raggio d’azione assai limitato e non potremmo essere operativi, considerando che dal numero di soldati dovremmo sottrarre gli addetti alla logistica, ai trasporti, alle cure mediche».
Il dibattito Cosa deciderà la Casa Bianca? I dubbi sul futuro dell’esercito in Afghanistan hanno già innescato negli Stati Uniti un dibattito tra ex militari, esperti e giornalisti specializzati. Gli analisti politici Frederick e Kimberly Kagan attaccano dalle colonne del Wall Street Journal: «Una minore (o addirittura nulla) presenza di truppe potrebbe riavviare la guerra civile che imperversava prima del 2001. Negli spazi non controllati comincerebbe lo scontro tra insorti e terroristi, condizione ideale per il ritorno di Al Qaeda». Dello stesso avviso anche l’afgano Naeem Lalai, parlamentare della provincia di Kandahar, mentre l’ex consigliere della Nato Mark Jacobson interpreta il pensiero della lobby militare affermando che «con meno di seimila soldati è impossibile condurre qualsiasi tipo di missione nel Paese, a meno che il governo afgano non dimostri di essere forte e pronto a garantire servizi e stabilità politica».