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Diritto di critica | November 24, 2024

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Da Tunisia e Egitto in arrivo nuovi imam per l'Italia

Si è svolto a Lignano Sabbiadoro tra il 29 dicembre e il 1 gennaio il convegno dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche Italiane, una delle numerose organizzazioni islamiche presenti in Italia. Sono intervenuti numerosi esponenti religiosi provenienti da Tunisia, Egitto e Marocco ed è anche stato sottoscritto un accordo di collaborazione con il Ministero degli Affari Religiosi tunisino per quanto riguarda la formazione e l’invio di imam e guide spirituali in Italia.

“L’Ucoii cresce”. Il presidente dell’Ucoii, Ezzedine Elzir, ha dichiarato: “Questo è un passaggio importante per l’Ucoii, perché passa da un’ attività di volontariato basata solo sulle esperienze personali e limitata ad un gruppo ristretto di persone ad una attività organizzativa più ampia. Stiamo studiando protocolli di intesa con altre realtà istituzionali dei paesi islamici del Mediterraneo come l’Egitto, nel rispetto dei trattati internazionali e delle leggi costituzionali nazionali”.

Le strutture religiose inadeguate. È senza ombra di dubbio fondamentale per i centri islamici italiani avere a disposizione guide religiose con la necessaria preparazione teologico-dottrinaria, così come sarebbe il caso di far fronte alle esigenze della vasta comunità islamica italiana che purtroppo si ritrova spesso a dover pregare in strutture inadeguate sotto diversi punti di vista come quello della capienza, della sicurezza e dell’agibilità.

L’importanza di imam preparati. La situazione degli imam in Italia non va certo sottovalutata e come spiega Maria Bombardieri nel suo testo Moschee d’Italia: “Oggi solo alcuni degli imam che esercitano in Italia si sono formati nei paesi d’origine e spesso ignorano non solo i valori e la cultura italiana, ma anche la lingua; essi infatti sono scelti tra le persone stimate per una conoscenza reale o presunta, oppure sono chiamati dal paese d’origine”. Ma ha senso “importare” guide spirituali dai paesi arabi? Non sarebbe meglio prepararle in Italia?

L’integrazione mancata. In più di un’occasione studiosi e analisti hanno sottolineato il fatto che alcuni musulmani fanno fatica ad integrarsi nel contesto sociale italiano. Nizir Ramadan, ex editore di Famiglia Musulmana, ha affermato che i centri islamici italiani sono spesso frequentati da immigrati non pienamente integrati e che psicologicamente sono rimasti nel proprio paese d’origine; invece di valorizzare sia la cultura di provenienza che quella di arrivo, tendono a rifiutare la seconda per idealizzare la prima; ovvero ciò che lo studioso Felice D’Assetto chiama “integrazione esternalizzata”, ovvero un’integrazione economica a cui non fa seguito quella socio-culturale.

Per un Islam “italiano”. L’imam, oltre che una guida spirituale per i fedeli musulmani, non potrebbe svolgere anche un ruolo di “ponte” tra le due culture? Per far ciò è indispensabile che abbia una profonda conoscenza della storia, della cultura, delle leggi nonché dei valori del paese nel quale opera. Dunque un “Islam italiano”, termine non gradito ad alcuni ma che risulta indispensabile per una reale integrazione nonché per un Islam che possa prosperare in Italia, liberandosi da quei condizionamenti che spesso legano alcune comunità a gruppi e situazioni presenti nei paesi di origine e che nulla hanno a che vedere con il contesto italiano. Le comunità islamiche italiane, in quanto tali, devono essere libere da condizionamenti esterni.

Lo scenario mediterraneo. Vi è poi un altro elemento che vale la pena di sottolineare: paesi come Tunisia ed Egitto sono tutt’ora nel mezzo di un’importante fase di transizione, forse la più importante della storia dei due paesi. L’Egitto è in preda a seri problemi legati a una Costituzione contestata da gran parte della popolazione, scontri interni che non vedono di fronte musulmani e secolari, ma bensì islamisti ed un’opposizione eterogenea che comprende musulmani, laici e cristiani. In Tunisia è invece al governo il partito Ennahda, legato ai Fratelli Musulmani e accusato da molti tunisini non solo di non essere in grado di risollevare la situazione economica del paese ma anche di aver messo in atto un processo di re-islamizzazione, nonché di non aver preso seri provvedimenti contro i salafiti i quali si sarebbero progressivamente impadroniti di circa 400 moschee, come dichiarato dallo stesso Ministro per gli Affari Religiosi tunisino, Nourredine al-Khademi. In aggiunta il sindacato degli imam tunisini ha accusato il partito Ennahda di aver portato la politica nelle moschee con lo scopo di mettere in atto un vero e proprio controllo sociale fondato sulla conquista dei luoghi di culto.

È dunque auspicabile che l’Islam presente in Italia faccia affidamento su quei direttivi religiosi legati a paesi che al momento sono profondamente in crisi? Non sarebbe invece più utile una soluzione “interna”, magari con un supporto da parte delle istituzioni?

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